The Miniaturist – La recensione della miniserie con Anya Taylor-Joy
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Di Gabriele La Spina
Rivelazione dello scorso anno, con l’evocativo horror The Witch, Anya Taylor-Joy possiede la genuinità e la purezza di un’attrice di 21 anni, ma la maturità e la spregiudicatezza di un’interprete ben più navigata. Incurante della nudità, si addentrata in confini oscuri nella pellicola di Robert Eggers, e con i favori della critica dalla sua, sta iniziando a costruire una carriera già variegata, la vedremo nello spin-off di X-Men, New Mutants, e protagonista della nuova saga di M. Night Shyamalan, iniziata con Split.
Non poteva mancare per l’attrice americana, un’incursione nel piccolo schermo, e il suggestivo adattamento del romanzo best-seller di Jessie Burton, The Miniaturist, non poteva che essere la giusta occasione. Prodotta dalla BBC, vede la direzione di Guillem Morales, celebre per il thriller Con gli occhi dell’assassino del 2010, e la sceneggiatura di John Brownlow, conosciuto per il biopic del 2013 sulla scrittrice Sylvia Plath, intitolato Sylvia. Proprio quest’anno abbiamo visto nelle sale il sorprendente Lady Macbeth del regista esordiente William Oldroyd, con cui questa miniserie in due episodi, ha molto in comune: un matrimonio infelice, la figura femminile da sempre bistrattata e un mood austero.
La Taylor-Joy veste i panni di Nella, Petronella Oortman, una ragazza di 18 anni che per le difficoltà economiche della famiglia viene data in sposa al mercante Johannes Brandt, un uomo sinistro che nasconde molteplici segreti. Viene portata nella sua casa di Amsterdam dove vive con la sorella, Marin, una donna fanatica religiosa, con il quale Johannes ha un rapporto morboso, e i due servitori Cornelia e Otto. Non avrebbe mai pensato che così come il pappagallo che porta ingabbiato al suo arrivo, Nella avrebbe vissuto in un buia gabbia anche lei: Johannes sembra trattarla con freddezza, e più come un’amica, la sorella pare giudicarla con ogni sguardo e negli occhi dei servitori è leggibile la paura ad ogni sua azione. Non migliora indubbiamente l’angoscia che affligge Nella al suo arrivo nella nuova casa, il regalo di nozze del marito: una riproduzione in miniatura della stessa dimora, una casa delle bambole coperta da un lugubre siparietto. Assecondando il volere del marito, Nella ingaggia così un miniaturista che le spedisce giornalmente nuovi pezzi per la casa su sua richiesta, ma ogni volta aggiunge un pezzo fuori dalla lista, dimostrando una conoscenza spaventosa dei dettagli e degli eventi della casa, e permettendo a Nella di scoprirne ogni segreto.
Con un ritmo quasi smorzante nel suo inizio, ci si chiede infatti perché non aumentare il numero degli episodi così da poter adagiare con più calma gli eventi della storia, The Miniaturist si colloca nel genere thriller-gothic concedendosi non poche sfumature ingannevoli. Nonostante l’ambientazione di fine 600, il romanzo della Burton, ha una modernità indubbia nel raccontare innumerevoli tematiche d’attualità, dal razzismo all’accettazione dell’omosessualità nella società e nella famiglia, fino alla figura femminile come punto cardine di questa. Con serie come The Handmaid’s Tale e Big Little Lies, citando due successi di quest’anno, abbiamo constatato ad oggi quanto siano necessari racconti femminili del genere, e The Miniaturist va posto un gradino sotto le due serie. La regia di Guillem Morales è sorprendentemente puntigliosa, nel catturare i dettagli delle miniature, il vero aspetto creepy della serie, e versatile nell’alternare toni drammatici, di facile caduta in un tranello da soap-opera in costume, ai più ansiogeni, dovuti soprattutto ai personaggi a volte bizzarri.
I veri due punti di forza della miniserie sono però le performance delle protagoniste. Non è una sorpresa la capacità di immersione in un ambiente simile da parte di Anya Taylor-Joy, con un personaggio etereo e via via sempre più forte, dall’evidente processo evolutivo, prima insicura ragazza poi donna destinata a divenire matriarca. Ma nonostante il suo indubbio talento è Romola Garai, a brillare maggiormente. Già vista in Espiazione e recentemente in Suffragette, l’attrice dall’affascinante accento inglese, ruba la scena all’intero cast, solenne, sull’orlo dell’isteria, e con uno sguardo di estrema comunicazione del disagio interiore di Marin, una donna che ha sacrificato la sua vita per il fratello, che trova nella religione il suo solo conforto, pur consapevole di vivere nella menzogna, con un fardello di non poco conto.
Se inizialmente The Miniaturist può sembrare una miniserie di carattere sovrannaturale, quella è solo una patina ben più superficiale, del suo vero obiettivo, ovvero quello di raccontare una società tanto lontana ma così tanto simile ai giorni nostri, con un’analisi ben oculata dei rapporti umani, ma probabilmente troppo frettolosa. I tempi celeri di esposizione delle vicende non aiutano infatti dando la sensazione di mancante, e un forte potenziale inespresso. Ma se si ha l’esigenza di ulteriori episodi alla fine della visione di una serie, e di questa in particolare, è indubbio che i personaggi siano riusciti a colpire lo spettatore, affamato di un ulteriore sviluppo. Troppo piccola e passata inosservata per poter sperare in un seguito ben più esteso della miniserie.