Di Massimo Vozza
Bisogna ammetterlo: il precedente film del 2016 firmato da David Ayer è stato uno dei peggiori esempi di film con protagonisti supereroi (anzi, supervillain): confusionario, incapace di gestire una coralità di personaggi (i quali venivano presentati qui per la prima volta), poco ispirato sul piano estetico e sostenuto da una trama interna priva di interesse e originalità.
Non è un caso quindi che il compito di ripartire sia spettato a James Gunn: il regista e sceneggiatore originario di Saint Louis è stato non solo l’unico nel MCU a occuparsi, cavandosela più che egregiamente, di un titolo che dovesse presentare da zero una squadra di supereroi ancora non visti sul grande schermo (finora quantomeno: a novembre uscirà The Eternals, diretto dalla regista premio Oscar Chloé Zhao), ma è stato anche l’unico ad aver fatto emergere delle qualità autoriali di tutto rispetto (visive e narrative), fondendole (quasi) perfettamente con il prodotto di intrattenimento supervisionato da una grande casa cinematografica.
Nel caso di The Suicide Squad si può tranquillamente togliere il “quasi”, anzi si può fare perfino un passo in avanti: sono proprio quei vezzi da cineasta che contraddistinguono Gunn a essere il motore scatenante dell’intero titolo, come se senza di essi non sarebbe potuto venire alla luce. E questo perché il regista deve aver ottenuto notevole libertà dalla produzione, conseguente anche a un dato di fatto non trascurabile: The Suicide Squad non ha la pretesa di essere un film anche per i più piccoli e questo ha permesso di proseguire a briglia sciolta, soprattutto con la violenza, facendo incontrare così il genere della fantascientifico/d’azione, tipico di questi prodotti, con quello della commedia nera, avvicinando quindi il risultato finale al Gunn ai tempi del suo debutto (Slither, 2006), il che ci allontana nettamente dal poter definire quest’ultima opera il “Guardians of the Galaxy della DC”.
Non è ovviamente solo una questione di genere e tono: la firma dell’autore è anche in alcuni caratteristici movimenti di camera (improntati sul capovolgimento), nelle scelte delle musiche, e questo è evidente sin dalla prima scena.
Senza fare veri e propri spoiler, anticipiamo che sul piano narrativo sono state prese anche decisioni parecchio coraggiose e sorprendenti; in particolare salta all’occhio la riflessione, fortunatamente non didascalica, sul confine che separa i buoni e i cattivi, mai così labile in un cinecomic come in The Suicide Squad.
Nonostante si finga praticamente che il passato non sia mai esistito, Viola Davis, Joel Kinnaman e Margot Robbie, ad esempio, tornano nei panni dei loro personaggi, senza essere nuovamente introdotti: in fondo, chi avrebbe mai avuto il coraggio di rimpiazzare Robbie nel ruolo di Harley Quinn, l’unica nota veramente positiva di quel 2016, al punto da diventare iconica?! Non è un caso che qui sia lei la protagonista della migliore sequenza di combattimento del film (una versione potenziata e cinematograficamente più appagante di quella già buona in Birds of Prey, all’interno del commissariato). Al loro fianco, le new entry Daniela Melchior (forse il personaggio migliore), gli esilaranti David Dastmalchian, John Cena e Sylvester Stallone (voce di King Shark), e il grandissimo Idris Elba nel ruolo di Bloodsport; nonostante quest’ultimo venga identificato, all’interno della storia, come il leader, una figura che farebbe pensare subito al protagonista, Gunn ha tenuto sempre a mente, per le oltre due ore di durata, segnate da un ritmo serratissimo, che il vero protagonista è costantemente la squadra.
Pop, esilarante e violento: The Suicide Squad è uno dei migliori esempi d’intrattenimento puro del nuovo millennio, rigorosamente da gustare sul grande schermo.
VOTO: ★★★★