Twin Peaks 3×09 “This is the chair” – La recensione

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Di Simone Fabriziani

Dopo il dissonante, indimenticabile incubo in bianco e nero dello scorso episodio, la terza stagione di Twin Peaks  arriva al suo giro di boa e regala allo spettatore affascinato, attonito e rapito forse la parte narrativa più densa di indizi, domande irrisolte, alcune risposte e misteri che si infittiscono.


Concettualmente distante dall’abbacinante storia di origini di bene e male raccontata nell’episodio- capolavoro “Gotta Light?”, “This is the chair” opera in due distinte piste parallele: da un parte appassionante indagine incrociata dell’FBI condotta da due impagabili David Lynch e Miguel Ferrer, dall’altra un ritorno nelle cittadina di Twin Peaks, dove un criptico messaggio dal passato riaffiora e riporta a galla nella apparentemente tranquilla città del nordovest americano le paure di una dimensione altra, spaventosa e fin troppo familiare.
Privo di immagini iconiche o di sperimentazioni visivo-sonore, “This is the chair” trae la sua forza maggiore, come d’altronde per la serie classica degli anni ’90, nella costruzione dei gesti e delle parole dei suoi personaggi, nella calibrazione e nel soppesare in unità puramente narrative le parole, gli sguardi e i silenzi, tanti silenzi. Episodio ricchissimo di indizi, messaggi cifrati, parole d’ordine e strade verso una zona paranormale che ricordano le atmosfere dei migliori capolavori esistenziali di Andrej Tarkovskij , il revival della creatura televisiva di Mark Frost e David Lynch continua tuttavia imperterrita nel suo percorso vincente di rivoluzione e ri-abituazione del telespettatore del nuovo millennio: impossibile da ingurgitare in una sessione di “binge-watching”, il nuovo Twin Peaks richiede ed esige ciò che la tv di oggi ha perso pur acquistando maggior risalto: la pazienza, la riflessione, l’immersione totale in un’esperienza sensoriale che forse il mezzo televisivo riesce addirittura a sminuire.
Siamo (siete) arrivati al giro di boa di un viaggio, fino ad ora, strano e meraviglioso; stiamo per avvistare la “zona” all’orizzonte e qualcosa ci dice che alla fine del viaggio ne sarà valsa la pena.

VOTO: 8/10



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