Di Simone Fabriziani
A meno di sei episodi dal gran finale e successivo all’episodio narrativamente più dilatato dell’intero revival fino ad oggi, Twin Peaks – La serie evento gioca ancora con la dilatazione del tempo del racconto, risolve alcuni misteri e sottotrame fino ad ora lasciate in sospeso e confeziona quello che in tredici episodi è forse il più malinconico e nostalgico, ma non per lo spettatore.
I due showrunner David Lynch e Mark Frost indagano con profondità maestria nella costruzione della psicologia dei personaggi il senso di solitudine di molti dei suoi protagonisti, principali e minori. Le “anime solitarie” della cittadina di Twin Peaks sembrano quasi cristallizzarsi (se non in taluni casi letteralmente) in un loop temporale spietato che fa da “nostalgia canaglia” per ciò che si è perso, per chi non c’è più e non si può più riavere; nonostante gli spiriti della Loggia Nera sembrino tenere in mano i fili del destino dei vari personaggi terreni in un arco temporale sempre a cavallo tra un indefinito “passato o futuro”, nella serie di Frost e Lynch, e più specificatamente nella Parte 13 “What story is that, Charlie?”la palla di vetro del tempo è compressa in piani narrativi che si sovrappongono e che sembrano intersecarsi tra eventi già accaduti nei precedenti episodi ed eventi presenti alla narrazione della tredicesima parte.
Ma, evitando dettagli della trama e lasciando sbrogliare il mistero agli occhi del (tele) spettatore, ad incorniciare l’episodio sono i ritratti stanchi e vinti delle anime solitarie di Twin Peaks, inermi d fronte alla crudeltà della vita (e del tempo che non si può sbrogliare all’indietro) ed affrante davanti ad una tazza di buon caffè, ad una fetta di crostata di ciliegie o sul divano di una fredda casa troppo grande per una sola persona.
VOTO: 7,5/10