Di Simone Fabriziani
Nell’oscurità di un futuro passato, e con buona pace dell’estenuante ma tenace attesa dei fan più accaniti, arriva venticinque anni dopo la messa in onda dello scioccante finale di stagione il revival della madre di tutte le serie televisive; stanotte è stata la notte di Twin Peaks, salutata sia dalla comunità cinefila che da quella prettamente televisiva con attesa e nervosismo, sarà riuscita la terza stagione della creatura ingegnata negli anni ’90 da David Lynch e Mark Frost mantenere le aspettative alle stelle?
In parte si, ed in parte no, e vi assicuriamo che è un bene. Meno Twin Peaks e molto più affiliato all’ultimo cinema sperimentale di David Lynch, il revival del 2017 si apre con un doppio episodio che spiazza, sorprende, inquieta, strappa più di un sorriso e qualche malinconica lacrima; perché, grazie a Dio, la nuova stagione dello show televisivo degli anni’90 non è a tutti gli effetti una passeggiata nei vintage nei ricordi.
Non entreremo in nessun dettaglio della pur emblematica trama di primi due episodi per preservare intatta la purezza dell’occhio di chi ci sta leggendo e che ancora deve visionare l’incipit televisivo diretto da David Lynch e co-scritto da Mark Frost, eppure ci sentiamo di paragonare ciò che abbiamo da poco visto più alle atmosfere narrative di titoli come Strade perdute (1997) e Mulholland Drive (2001), lungometraggi sperimentali meno legati alla perizia narrativa e veri e propri rompicapo per il grande schermo, ricchi di suggestioni allegoriche e totalmente scevri da ogni preconcetto di “spiegone”. Il cinema di Lynch si ama o si odia, e se si ama ci si deve accollare il pesante fardello dell’allegoria, se questa c’è e se è ascrivibile ad un significato sotterraneo.
Giocando con le ultime tecnologie e virtuosismi propri della televisione del nuovo millennio, David Lynch regala al pubblico del piccolo schermo un aggiornamento 2.0 dell’universo creato all’inizio degli anni’90, mescolando volti familiari e nuove facce, allungando il tiro con contesti e situazioni che vanno ben oltre i piccoli confini della immaginaria cittadina del nord America; non è quindi un caso se il prologo del revival è più un gemello diverso del sottovalutato prequel cinematografico del 1992 Twin Peaks: Fuoco cammina con me, a testimoniare che, prima che terza stagione della popolare serie televisiva, il revival è forse il canto del cigno di David Lynch dietro la macchina da presa, dunque grande scatolone immaginifico di tutti i dettami (non) narrativi e visivi che hanno da decenni contraddistinto il suo cinema rivoluzionario che nel 1991 ha sfondato i piccoli schermi di tutto il mondo favorendo una seconda e più florida rivoluzione lenta: quella della vera televisione d’autore.
VOTO: 8/10