Di Edoardo Intonti
Il tempo in cui bastava ricorrere a qualche grosso nome (ad esempio Keanu Reeves) o alla presenza di un premio oscar nel cast (Renée Zellweger) per garantire buoni incassi al botteghino di una pellicola, è ormai lontano. Anche in questo caso, è molto improbabile che il successo su larga scala avvenga, anche in termini di riconoscimenti, siano essi per gli attori, sceneggiatori o i registi coinvolti (in questo caso, Courtney Hunt, regista di Frozen River). Mai come ora siamo sommersi di offerta cinematografica/televisiva, che quasi sembra non esserci spazio per il legal-drama di questa regista statunitense.
La trama, incentrata sulla difesa di un ragazzo accusato dell’omicidio del padre (un’insolitamente violento e odiabile Jim Belushi) e sulla difficile impresa da parte dell’avvocato difensore e della madre dell’accusato, per poter scagionare l’imputato, colto praticamente sul fatto dalla polizia stessa.
La trama regala qualche sorpresa, senza tentare di indagare troppo nella vita dei personaggi, che per la maggior parte della pellicola, rimangono volutamente insipidi, fino allo svelamento finale, vero momento “thriller” della pellicola.
Il processo procede come dovrebbe, non c’è teatralità o momenti alla How to get away with murder, durante la pellicola, preferendo farci vivere l’angoscia dell’attesa senza davvero poter contare sull’infallibilità dell’avvocato interpretato da Reeves o sulla sua assistente.
Cosparso di flashback, perfettamente inseriti e mai eccessivi, anche noi spettatori intuiamo presto la verità dietro le parole dell’imputato e della madre, una Zellweger malinconicamente perfetta per il ruolo, ombra del viso paffuto e sorridente che era un tempo, ma forse lanciata verso un futuro di ruoli meno da caratterista. Una pellicola da visionare senza impegno, in famiglia o con amici, uscendo dalla sala non infastiditi da incoerenze di trama o virtuosismi registici da impedirne la comprensione.
VOTO: 7/10