Di Daniele Ambrosini
Nel 1973 alcuni membri di un gruppo di ribelli, detti Tupamaros e facenti parte del Movimento di Liberazione Nazionale uruguaiano, vennero arrestati per la loro opposizione all’allora presidente del paese Juan Marìa Bordaberry, poi divenuto dittatore grazie ad un colpo di stato. Durante la dittatura militare, quando ormai l’opposizione era stata quasi completamente soppressa, nove di quei Tupamaros vennero prelevati dalle regolari prigioni e sottoposti ad una nuova tortura mirata ad abbattere la loro capacità di resistenza psicologica, o, in altre parole, condurli alla pazzia.
Una notte di 12 anni segue tre di questi nove prigionieri: José Mujica, Eleuterio Fernàndez Huidobro, Mauricio Rosencof. Privati di qualunque contatto umano, di cibo e acqua e rinchiusi in celle sempre più piccole e sporche, i tre sono riusciti a sopravvivere e a diventare figure di spicco nell’Uruguay democratico, dopo la loro scarcerazione avvenuta nel 1985. Mujica è stato presidente della nazione dal 2010 al 2015, Huidobro ministro della difesa, mentre il poeta Rosencof ha fatto parte dell’amministrazione cittadina di Montevideo.
Una notte di 12 anni segue tre di questi nove prigionieri: José Mujica, Eleuterio Fernàndez Huidobro, Mauricio Rosencof. Privati di qualunque contatto umano, di cibo e acqua e rinchiusi in celle sempre più piccole e sporche, i tre sono riusciti a sopravvivere e a diventare figure di spicco nell’Uruguay democratico, dopo la loro scarcerazione avvenuta nel 1985. Mujica è stato presidente della nazione dal 2010 al 2015, Huidobro ministro della difesa, mentre il poeta Rosencof ha fatto parte dell’amministrazione cittadina di Montevideo.
Presentato con successo all’ultima Mostra di Venezia, Una notte di 12 anni ricostruisce una parte fondamentale della storia uruguaiana, ma allo stesso tempo non lo fa. Quello di Alvaro Brechner non è un film sulla dittatura o sulla ingiustizie del governo militare, quanto un dramma intimo sulla forza che rende e mantiene umani gli uomini nelle condizioni più disumanizzanti. Non un film sulla prigionia vera e propria, quanto un film sui prigionieri. Il contesto politico che li circonda non è mai realmente protagonista, tutto ciò che vi è legato sembra quasi appartenere ad una vita passata, dove alla possibilità di pensiero era legata la possibilità di agire di conseguenza, che di tanto in tanto riaffiora. Il carcere è una sorta di cerchio infernale, e proprio secondo questa logica dantesca Brechner costruisce il suo racconto: aprendo il percorso dei suoi protagonisti con il famoso avvertimento scolpito sulla porta dell’Inferno e terminandolo con la vista delle stelle. I tre ribelli sono dannati condannati dal tribunale della storia in attesa della propria redenzione, uomini piegati ma non sconfitti pronti in qualunque momento a rialzare la testa verso il cielo. Uomini responsabili delle proprie azioni, pronti ad affrontarne le conseguenze, fin quando necessario.
Una notte di 12 anni è un film mutevole, estremamente crudo e realistico nella prima parte, in grado di dipingere in modo accurato il trattamento riservato ai tre prigionieri ribelli, ma all’occasione anche grottesco, onirico ed ironico. Il film, esattamente come i suoi protagonisti, evolve in maniera inaspettata, diventando quasi fiabesco. La forza dell’immaginazione e la vivida pazzia diventano il filo conduttore della seconda metà del film. Nella memoria e nei sogni ad occhi aperti c’è quel “qualcosa a cui aggrapparsi” che i tre Tupamarpos ricercano in continuazione, coscientemente o meno. Quello di Brechner è un film sulla speranza quanto lo è sulla resistenza, sempre legato alla dicotomia inscindibile tra quelle due dimensioni che caratterizzano questo racconto: intima e politica. Una regia curata e dal gusto post moderno, bizzarra ed estetizzante, unita ad un uso sapiente della colonna sonora, dona alla pellicola un pathos al quale è impossibile restare indifferenti, una carica emotiva notevole, certo, non sempre bilanciatissima e, a tratti un po’ insistente su certi facili sentimentalismi, ma pur sempre d’impatto. Notevole è in toto tutto il lavoro di Alvaro Brechner che, pur concedendosi qualche manierismo di troppo, riesce a ricostruire in maniera vivida ed originale una storia spalmata su un arco temporale incredibilmente vasto, gestito in maniera sopraffina, in cui sembra di vedere i giorni scorrere sotto i nostri occhi, lenti nonostante il ritmo serrato del film, ed in cui ogni (inevitabile) salto temporale appare adeguatamente giustificato.
A dare volto a Mujica e i suoi compañeros ci sono lo spagnolo Antonio de la Torre (Volver, Ballata dell’odio e dell’amore), Alfonso Tort (assiduo collaboratore di Brechner) e il ventinovenne Chino Darìn, tutti sorprendenti nei loro ruoli, che hanno richiesto una notevole trasformazione fisica. Distribuito nel limitatissimo numero di 44 sale in tutta Italia, Una notte di 12 anni è indubbiamente uno dei film più interessanti a raggiungere i nostri cinema in questa prima parte dell’anno, e speriamo non passi inosservato.
VOTO: 8/10