Venezia 74: Mektoub, My Love: Canto Uno – La recensione del film di Abdellatif Kechiche

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Di Daniele Ambrosini

Mektoub, My Love è il primo film di Abdellatif Kechiche dopo la vittoria al Festival di Cannes del 2013 con La Vita di Adele; nonostante le numerose difficoltà produttive a cui il film è andato incontro, quel Canto Uno a completare il titolo sembra presagire che il regista francese di origini tunisine non abbia voglia di attendere ancora a lungo prima di tornare sul set. Infatti il progetto è quello di completare la storia della formazione del giovane Amin con altri due film, ma d’altronde anche La Vita di Adele era pensato per poter avere un ipotetico seguito che, come ben sappiamo, non arriverà mai, perciò in sede di recensione considereremo questo Canto Uno come un film a sé stante.

Amin, un ragazzo di origine tunisina ed aspirante sceneggiatore, come ogni estate ritorna a Sète, sua città natale, dove passa le vacanze prima di tornare a Parigi dove, fino a poco prima, frequentava la facoltà di medicina. Abbandonato il suo percorso di studi, il giovane ha deciso di voler tentare la fortuna inviando un suo copione ad alcuni produttori cinematografici, dai quali attende risposte. Nella piccola città di mare ritrova la sua numerosa famiglia e la sua più cara amica d’infanzia, che nonostante sia prossima al matrimonio ha intrapreso una relazione con il cugino di Amin. Il protagonista è sempre stato segretamente innamorato di lei ma non ha mai avuto modo di dirglielo. Oltre a loro tanti giovani amici e conoscenti si godono le vacanze nella località di mare, tentando di divertirsi quanto più possibile dimenticando i propri problemi e cercando fugaci ed effimeri amori estivi.
La trama del film può essere riassunta in questo modo: ci sono delle persone che si scambiano convenevoli, ballano, mangiano e parlano del più e del meno, una scena di sesso e il parto di una pecora. E nient’altro. Mektoub infatti è un film che ricostruisce delle situazioni, senza tentare svolte narrative particolari, lo scopo di Kechiche è raccontare un gruppo di giovani adolescenti nel loro ambiente. Un’operazione non dissimile da quanto fatto da Larry Clark in Kids: entrambi infatti si sono cimentati in racconti di formazione che parlano di ragazzi cresciuti nei loro stessi ambienti, parlando il loro stesso linguaggio, ripercorrendo in qualche modo la loro adolescenza.
I discorsi dei ragazzi sono pieni di silenzi imbarazzanti, i loro sguardi vispi e pieni di vita, la loro sessualità sfacciata ed i loro corpi costantemente esposti, quasi chiedessero di essere guardati. Mektoub è un film fatto di piccole cose, di particolari, tramite i quali Kechiche riesce a cogliere l’umanità dei propri personaggi, restituendo alle situazioni un intrinseco realismo. Le tre ore di film danno perfettamente l’idea del tempo che passa; senza mai dover accelerare i tempi di una conversazione o di un ballo, Kechiche realizza un quadro credibile e molto dolce di un’estate vissuta effimeramente, tra piccoli melodrammi e drink annacquati. Mektoub riconferma perciò la sensibilità di un autore unico nel panorama mondiale, ossessionato dai piani stretti e strettissimi, sempre a contatto con i propri amati personaggi. L’unico vero appunto che si potrebbe fare a Kachiche è che purtroppo un film corale come questo impedisce di approfondire la psicologia dei personaggi e pure il protagonista, un personaggio timido e volenteroso, affettuoso ma troppo impacciato per avere successo con le ragazze (in un panorama in cui quella sembra essere l’unica cosa che conta), risulta caratterizzato unicamente tramite i rapporti che ha con gli altri, il suo privato è quasi ininfluente. Tutti quanti in questo film sono qualcuno solo in relazione agli altri, i rapporti sono l’unica cosa che li giustifica all’interno del film. Una visione interessante che però ci lascia con la curiosità di saperne di più e di conoscere meglio il protagonista.

VOTO: 8/10


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