Di Daniele Ambrosini
Gli insoliti documentari di Roberto Minervini hanno sempre le persone come punto di partenza, piccole comunità che vogliono far conoscere le proprie storie e che acconsentono al regista di intrommettersi nelle loro vite per catturarne l’essenza.
Nel suo ultimo film il regista italiano si immerge nelle cittadine di Jackson e Baton Rouge, Mississippi, comuni nei quali quasi il 70% degli abitanti è di colore, luoghi che hanno alle spalle una lunga e significativa storia di razzismo e violenza. Per dipingere un quadro completo, Minervini decide di seguire tre diverse storie, e non una sola come accaduto in quasi tutti i suoi film precedenti (fatta eccezione per Louisiana); tre storie di vita vissuta che non si incontrano mai, ma che contribuiscono a creare un’immagine cristallina della condizione sociale, dei sentimenti e delle paure comuni a tutta la comunità nera del Mississippi (ed indirettamente dell’America intera).
Nel suo ultimo film il regista italiano si immerge nelle cittadine di Jackson e Baton Rouge, Mississippi, comuni nei quali quasi il 70% degli abitanti è di colore, luoghi che hanno alle spalle una lunga e significativa storia di razzismo e violenza. Per dipingere un quadro completo, Minervini decide di seguire tre diverse storie, e non una sola come accaduto in quasi tutti i suoi film precedenti (fatta eccezione per Louisiana); tre storie di vita vissuta che non si incontrano mai, ma che contribuiscono a creare un’immagine cristallina della condizione sociale, dei sentimenti e delle paure comuni a tutta la comunità nera del Mississippi (ed indirettamente dell’America intera).
Minervini è uno dei pochi autori italiani contemporanei ad avere una cifra stilistica così marcata: il suo cinema è una meravigliosa commistione di documentario e finzione nel quale tutto ha una linea di sceneggiatura alla base, ma nel quale, allo stesso tempo, è tutto verissimo. Il suo è un processo difficile da comprendere: il confine tra la realtà e la finzione è così sottile da essere quasi impercettibile. Quelle davanti alla telecamera sono persone vere, con delle storie da raccontare, persone che Minervini ha voglia di ascoltare quando nessun altro sembra interessato a farlo. Certo, non sono documentari realizzati impulsivamente quelli di Minervini; prima di iniziare a girare il regista italiano, infatti, affronta mesi di preparazione all’interno della comunità locale per riuscire a comprenderne lo spirito e per farsi un’idea di ciò che il film poi diventerà, ma non sono neanche documentari costruiti, non è lui a mettere in bocca le parole ai suoi soggetti. Che piaccia o meno, il modo di fare cinema di Minervini è unico ed originalissimo.
What You Gonna Do When The World’s on Fire? è probabilmente il film più politico realizzato da Minervini, ancor più di Louisiana (The Other Side), che pure affrontava un tema politicamente rilevante quale quello dei nuovi poveri americani. Si tratta di un film politico non solo nella misura in cui l’antefatto della pellicola è costituito da una serie di fatti di cronaca nera – l’omicidio di alcuni giovani ragazzi di colore, sia da parte della polizia che del Ku Klux Klan. Ovviamente quello è solo un pretesto per il regista, infatti è il forte senso di comunità di tutti all’interno del film a rendere What You Gonna Do When The World’s on Fire? un’opera politica in senso ampio, un’opera sociale. Nel film tutti sembrano essere costantemente in lotta e sentono di avere delle responsabilità verso gli altri, sono alla ricerca continua di sostegno, di un segnale tangibile di unità che li faccia sentire più forti nel loro scontro con la società. Minervini ritrae un senso di disagio esistenziale legato alla condizione politica dei cittadini – si torna a parlare di “razza” in maniera disillusa e francamente preoccupante – che non rappresenta una novità, ma è piuttosto un sentimento radicato nel tempo; motivo per cui nel film non troverete alcun riferimento allo scenario politico contemporaneo a stelle e strisce – non ci sono risposte facili, nessuno punta il dito contro Trump o Obama, anzi, stupisce la lucidità con cui i “personaggi” di Minervini portano avanti una riflessione sulla propria condizione sociale priva di qualsivoglia forma di superficialità. Differentemente da quanto accadeva in Low Tide o Stop the Pounding Heart poi, dove l’incomunicabilità era il motore che muoveva le dinamiche tra i personaggi, in What You Gonna Do When The World’s on Fire? avviene
esattamente l’opposto: per i cittadini di Jackson la comunicazione è
l’unica arma per affrontare quella battaglia contro il mondo esterno
nella quale si sentono ingaggiati. E proprio la fede nella forza della
comunicazione è, forse, la maggiore dichiarazione politica del film.
esattamente l’opposto: per i cittadini di Jackson la comunicazione è
l’unica arma per affrontare quella battaglia contro il mondo esterno
nella quale si sentono ingaggiati. E proprio la fede nella forza della
comunicazione è, forse, la maggiore dichiarazione politica del film.
Ma What You Gonna Do When The World’s on Fire? è anche uno dei film più intimi di Minervini, merito sempre di una comunità realmente disposta a mettersi a nudo per lui che realizza tre ritratti stupendi ed incredibilmente toccanti nei quali, anche lì dove non sembra evidente, il dolore personale si mischia a quello collettivo. Proprio per la sua capacità di cogliere, senza il bisogno di amplificarlo, un dolore così intrinsecamente umano, possiamo affermare che What You Gonna Do When The World’s on Fire? sia un film incredibilmente sincero e – al contrario di quello che si potrebbe pensare date le modalità con cui è stato realizzato e l’argomento trattato – per nulla manipolatorio. Ciò che stupisce, forse più qui che nelle sue opere precedenti, è la capacità di Minervini di non giudicare mai i suoi personaggi, perché non è detto che in ogni momento ne abbracci il punto di vista o ne condivida le modalità espressive o le azioni, ma, nonostante questo, non dimostra mai il minimo interesse ad imporre un punto di vista dall’alto, e proprio questo suo incredibile talento nel mantenere la soggettività in un mondo apparentemente oggettivo come quello del documentario lo rende un autore unico. Il suo fine è quello di comprendere gli altri per poter trasmettere le loro emozioni attraverso la pellicola e non quello di condannarne o giustificarne l’operato.
What You Gonna Do When The World’s on Fire? è, in definitiva, il film più completo realizzato finora da Roberto Minervini, oltre ad essere uno dei più belli passati quest’anno a Venezia. È
l’ennesima riprova del talento di questo regista unico, non solo nel panorama cinematografico italiano, ma anche in quello mondiale che, con questa sua ultima bellissima opera è un serio contendente per il Leone d’Oro.
VOTO: 9/10