Venezia 75: Killing – La recensione del nuovo film di Shinya Tsukamoto

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Di Daniele Ambrosini

Shinya Tsukamoto, autore dei
cult Tetsuo e A Snake of June, con il suo Killing (Zan) è l’ultimo autore in concorso
della settantacinquesima edizione della Mostra del cinema di Venezia, nonché l’unico
asiatico nella selezione principale del Festival.

Ambientato nel Giappone di
metà ottocento, il film segue la storia di un ronin, un samurai senza padrone,
che, dopo un lungo periodo di pace, intravede la possibilità di dimostrare il suo
valore nella guerra che il paese sta attraversando per dismettere il sistema
feudale; la sua partenza sarà però impedita da un conto lasciato in sospeso
nella sua comunità agricola, che lo trascinerà in una spirale di violenza fatale
come la guerra stessa.
Tsukamoto realizza un film
imprevedibile per quanto incredibilmente scostante. Lo stile di regia a metà
tra l’iperrealismo e il cartoonesco, assecondato da un particolarissimo lavoro
sul sonoro, crea il più delle volte scene dal sapore involontariamente trash
che rovinano la visione di un film che in più frangenti, invece, si prende fin
troppo sul serio, creando uno strano contrasto tra le varie parti che lo
compongono. Si fatica a capire il motivo di molte cose all’interno di Killing, perché
non sembra esserci una direzione unitaria dietro alle scelte fatte per tenere
insieme un film sostanzialmente molto fragile fin dalle sue fondamenta. Una
fotografia scialba – che nel finale si concede un inspiegabile cambio di
illuminazione e della gamma cromatica a metà di una scena che fino all’inquadratura precedente era girata in tutt’altro modo – ed un montaggio frenetico, quasi isterico,
e mai realmente coerente con sé stesso completano il quadro di un film
tecnicamente povero, o forse semplicemente troppo ambizioso per curarsi della
forma e della coerenza stilistica.

Siamo all’interno di un film d’azione
in costume che ha il sapore del wuxia pan ma che non ne ricalca pienamente l’epica. Ciò che rovina ulteriormente Killing è l’incredibile
disattenzione nella realizzazione delle scene d’azione, che rendono il film
decisamente meno godibile per quanto sono confusionarie, oltre a generare una
discreta dose di risate non dovute. Ciò che ne rimane è un film confuso che fa
del suo essere estremamente punk (come spesso viene definito il cinema del
regista giapponese) un vanto, senza però mai riuscire a coniugare uno stile ribelle
con delle ambizioni concrete, a livello tecnico come a livello narrativo. Confuso ed indeciso, recitato male e, soprattutto, estremamente dimenticabile, Killing è probabilmente uno dei titoli più deludenti del concorso veneziano.

VOTO: 4,5/10

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