Venezia 75: Vox Lux – La recensione del film musicale di Brady Corbet con Natalie Portman

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Di Massimo Vozza

A tre anni dalla sua opera prima L’infanzia di un capo, l’attore e regista Brady Corbet torna con un nuovo film, estremamente critico e di non facile assimilazione, presentato oggi in concorso a Venezia 75: un film destinato a dividere.
Perché Vox Lux non è soltanto la storia di Celeste (interpretata da Raffey Cassidy da giovane e da Natalie Portman in seguito), giovane popstar americana, e della sua scalata al successo nel mondo della musica ma anche quella degli Stati Uniti.
L’occhio del regista/sceneggiatore non lascia dubbi sulle condanne alla base del film sin dal suo inizio, che ci mostra l’evento traumatico che dà inizio alla storia e porterà la protagonista al successo: la giovane Celeste nel 1999 viene coinvolta in una sparatoria nella sua scuola, un evento tipicamente americano e purtroppo ancora attuale. Ma a parte la condanna alla liberalizzazione delle armi (tema che tornerà nel corso della narrazione) l’ascesa della ragazza, la sua perdita dell’innocenza e le conseguenze della sua notorietà e del sistema discografico sono la grande metafora dell’intero paese (non è un caso che un momento importante nella vita della protagonista vada a coincidere con l’11 settembre 2001), una parabola fatta anche di luoghi comuni ma proprio per questo veritiera e difficile da accettare, dove a rimetterci sono soprattutto i rapporti e valori umani. 
L’uso della macchina a mano, che in alcuni momenti sembra farci assistere a un documentario/backstage dell’artista, accentua il realismo della vicenda e dona dinamicità, mentre la fotografia desaturata incupisce la realtà vissuta nel film; gli stessi abiti, soprattutto quelli indossati dalla Portman, tendono principalmente al nero o a colori freddi e il trucco che la cantante esibisce sul palco ricorda terribilmente la soluzione adottata ne Il cigno nero.

Divisa in due atti, ai quali fanno da cornice un prologo e un epilogo, la storia viene narrata più velocemente  nella prima parte, la quale occupa anche un arco di tempo più ampio (circa tre anni), e in modo più lento nella seconda dove i dialoghi tendono ad occupare uno spazio maggiore e l’arco temporale si riduce a una giornata.
La recitazione contribuisce al realismo con sfumature al quanto grottesche: al solito degne di nota le capacità attoriali della Portman, Stacy Martin e Jude Law, ma a sorprendere è soprattutto la Cassidy in un duplice ruolo, già reputata una promessa ne Il sacrificio del cervo sacro.
Nel finale la vicenda, interamente narrata da Willem Dafoe, raggiunge perfino vette faustiane, perché il male può agire anche in un contesto glamour come quello della pop music, accentuato dalle musiche originali di Sia, che, differentemente dalle parole di Celeste, può in realtà dare molto da pensare e perfino rabbrividire.
VOTO: 7,5/10


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