Di Daniele Ambrosini
David Michod, dopo il passo falso di War Machine, dirige il suo secondo film per Netflix ottenendo risultati decisamente migliori. Il re è il ritorno in forma di Michod, che mette in scena un dramma shakespeariano propriamente detto, elegante e misurato, che ha tutto il sapore delle opere del bardo, reinterpretate sotto una lente propria sia del regista che del suo co-sceneggiatore, Joel Edgerton, quella del thriller psicologico.
Quando il re inglese Enrico IV si ammala l’equilibrio del suo regno è fortemente minacciato dalle guerre intestine che sta conducendo contro la Scozia e il Galles, il clima politico è così instabile che persino alcuni dei suoi storici alleati decidono di passare dalla parte dei suoi nemici. Consapevole del poco tempo che gli resta, Enrico manda a chiamare il suo primogenito, il Principe Harry, detto Hal, che alla vita di corte ha preferito una vita sregolata nei bassifondi londinesi, per comunicargli che non sarà lui ad ereditare il trono, ma suo fratello minore Thomas. Tuttavia, il giovane Thomas morirà poco dopo sul campo di battaglia, costringendo Hal a diventare re, sotto il nome di Enrico V. Nonostante aspiri alla pace, una crescente ostilità con la Francia lo costringerà a ricorrere alla guerra, non senza l’aiuto del suo fidato braccio destro Falstaff, l’unico uomo di cui si fidi.
Michod ed Edgerton combinano le due parti dell’Enrico IV e l’Enrico V in un’unica opera interamente incentrata su Hal, il giovane e indesiderato successore al trono inglese interpretato dal candidato all’Oscar Timothée Chalamet. Il risultato è un film compatto e snello che conserva l’essenza di quei personaggi e lo spirito delle opere di Shakespeare, pur operando dei cambiamenti e omettendo molte delle sottotrame presenti all’interno del testo teatrale originale.
Quello di Michod è un racconto che ha tutte le componenti concettuali e visive del moderno dramma politico, compresa quell’atmosfera tesa che rende tutto più intrigante e lo avvicina al genere thriller. Pur non sfociando mai in quel genere, trattandosi di un film in costume in piena regola, il regista ed Edgerton sono riusciti a sfruttare elementi tipici di quel tipo di narrazione lì per arricchire e ammodernare il materiale di partenza. Se ci si pensa sia Edgerton che Michod vengono da lì, e anche quando non hanno affrontato il genere a viso aperto, sono sempre stati in grado di riciclarne schemi, strutture ed elementi di messa in scena. Qui oltre a qualche trovata prettamente registica, ad essere incisiva in questo senso è la scelta di concentrarsi su un’unico, monolitico personaggio che diventa portatore di tutte le istanze della pellicola e non è parte, come invece avveniva nella tetralogia originale, di una storia più ampia. Il convergere di tutti questi elementi su Hal fa sì che questi non abbiano un effetto diretto sulla psicologia del personaggio e concorrano a caratterizzarlo. A ben vedere la vera sfida che tutti gli adattamenti shakespeariani devono affrontare è quella di dotare i personaggi di una psicologia moderna, intesa in ottica post-freudiana, pur mantenendo gli elementi portanti della caratterizzazione prettamente letteraria di epoca vittoriana. Pur non essendo catalogabile come un vero e proprio studio del personaggio e pur non essendo un film dalle pretese autoriali altissime, Il re ha un approccio vincente sotto questo punto di vista, che riesce a bilanciare il giusto livello di introspezione e pura “azione”.
Contribuiscono a creare la giusta atmosfera la fotografia scura e polverosa di Adam Arkapaw, in grado di riportare alla memoria, per semplice associazione di mood creato più che per reale corrispondenza, il magnifico lavoro da lui svolto in Animal Kingdom, e l’epica colonna sonora del candidato all’Oscar Nicholas Britell, che si conferma uno dei compositori americani più interessanti del momento. Nel variegato cast, invece, a brillare è ovviamente Chalamet, ma non c’era da aspettarsi niente di meno da lui, delude un po’ Robert Pattinson che per il suo ruolo fastidiosamente comico sfoggia un finto accento francese che fa storcere un po’ il naso (e all’anteprima del film ha generato più di qualche risata), interessante Joel Edgerton nei panni di Falstaff, mentre a Ben Mendelsohn, Sean Harris, Lily-Rose Depp e Dean- Charles Chapman (il re Tommen de Il Trono di Spade che continua il suo percorso di monarca sfortunato) sono affidati ruoli ridotti, ma non per questo poco incisivi.
David Michod, dal canto suo, dirige in maniera ordinata e pulita, ma non banale, operando delle scelte efficaci ed azzeccate. Il rischio più grande, che si rivela la sua più grande vittoria a livello registico, se lo prende nel momento clou del film, la battaglia contro l’esercito francese. Dopo una prima parte (tesissima) di pura strategia, il conflitto inizia realmente quando Enrico V entra in campo e Michod decide di concentrarsi su di lui, dedicandogli un piano sequenza molto efficace. L’intera sequenza della battaglia funziona perché sporca, volutamente caotica, e non idealizzata. Possiamo avvertire il peso delle armature che grava sui soldati e sul re e la fatica che questo crea è sfruttata sapientemente per creare una coreografia credibile che contribuisce a rendere questa sequenza una delle più riuscite del film.
Tuttavia, non si può non fare presente che in fin dei conti Il re è esattamente ciò che ci si aspetterebbe da un adattamento shakespeariano contemporaneo. Nel suo fare tutto giusto, rielaborando una storia più complessa all’interno del genere cinematografico di riferimento, il film finisce, al netto di tutti i suoi pregi e della innegabile piacevolezza e scorrevolezza dell’intera operazione, per non sorprendere mai. Quando un film è esattamente ciò che promette non si può certo parlare di delusione, eppure in questo caso è esattamente ciò che gli impedisce di essere migliore. Ma nonostante ciò, possiamo tutti gioire del ritorno alla forma di David Michod, un regista che forse non raggiungerà più i picchi del suo capolavoro, Animal Kingdom, ma che sicuramente è una voce interessante nel panorama cinematografico contemporaneo.
VOTO: 7/10