Venezia 76: Sole – La recensione della sorprendente opera prima di Carlo Sironi in Orizzonti

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Di Daniele Ambrosini
Sole, l’opera prima di Carlo Sironi in concorso nella sezione Orizzonti di Venezia 76, è uno degli esordi italiani più interessanti degli ultimi anni, un film con una forte visione cinematografica, in grado di portare in scena una versione moderata del realismo imperante nel cinema italiano recente (e non), di fondere elementi appartenenti a quel mondo lì con una messa in scena essenziale, che lavora per sottrazione e che crea un universo cinematografico coerente, realistico ma del tutto originale. 

Ermanno è un ragazzo solo che vive di espedienti ed ha continuamente bisogno di denaro per via della sua dipendenza dalle slot machine. Un giorno suo zio si rivolge a lui per un lavoretto. Lui e sua moglie hanno intenzione di comprare una bambina da una giovane ragazza polacca, Lena, attualmente incinta, così chiede a Ermanno di sorvegliarla fino alla fine della gravidanza e di riconoscere la figlia come sua, così che poi i servizi sociali possano affidarla a loro, suoi parenti, una volta che lui e la ragazza dichiareranno di non potersene prendere cura. Lena cederà il suo bambino alla coppia per 10.000 euro, una somma che le permetterà di partire e rifarsi una vita in un posto migliore. Ermanno e Lena si ritrovano così a passare molto tempo insieme e finiscono per conoscersi più intimamente di quanto non avessero programmato. 
Quello descritto da Sironi in Sole è un mondo spietato, un mondo distante. I suoi personaggi sono come alienati, come estranei che si muovono in uno spazio vuoto. La storia è legata alla tradizione del cinema realista, nella misura in cui si torna sui temi della periferia e dell’attualità sociale, ma la visione complessiva di Sironi va oltre alle semplici implicazioni sociali e al racconto del reale. 
Come un Wes Anderson al contrario, Sironi costruisce un film volutamente freddo recitato in maniera visibilmente impostata per essere altro dal realistico, per diventare essa stessa una modalità di espressione dei codici di un universo cinematografico. Poche linee di dialogo, semplici, dirette, uno sguardo indagatore che spesso sopperisce alla mancanza delle parole e, soprattutto, una monotonia espressiva che è il risultato di una deprivazione emotiva, un processo quasi bressoniano, che in realtà restituisce molto in termini di impatto emotivo sullo spettatore, sono gli elementi fondanti di questa modalità espressiva che è parte di una riflessione intelligente sulle modalità e sulle potenzialità non solo del linguaggio cinematografico, ma del linguaggio nel cinema, che per il nostro cinema è una piacevole sorpresa, visto quanto siamo legati a certe modalità espressive, soprattutto in film con questo genere di premesse.
Sole è inoltre una riflessione agrodolce sulla solitudine. Ciò che muove i personaggi all’interno del film è un senso di mancanza, il quale si rivela essere il più delle volte incolmabile perché profondamente radicato. A livello di messa in scena questa solitudine si fa isolamento, la scenografia è il più delle volte spoglia e crea un vuoto che incornicia gli attori, inquadrati spesso singolarmente e per lungo tempo, di quando in quando immersi nel silenzio. Questo contribuisce a creare quella sensazione di distanza e di estraneità alla base del film, che permea l’intera opera e la rende estremamente efficace. La quasi totale assenza di movimento da parte della macchina da presa, poi, aumenta un senso di frustrazione costante ma sottaciuto che alimenta la percezione di quella solitudine.
Rinunciando alle inquadrature a spalla, alla recitazione in dialetto ultra realistica, alle esagerazioni e al moralismo che spesso caratterizzano il cinema neo-neorealista italiano, Carlo Sironi costruisce un’opera che ha le premesse e il sapore del racconto realista, ma la volontà di spingersi oltre e di creare un sistema cinematografico interno coerente e credibile, che non ha paura di sembrare “costruito”, perché è questa costruzione, la sua riflessione sul linguaggio, inteso in senso ampio, a renderlo un prodotto estremamente interessante e coraggioso nel panorama cinematografico italiano, ad averne di film così. 
Sole è un racconto sull’adolescenza, ma anche un racconto archetipico, ed in questo molto classico, di padri e figli, esemplificativo ed indagatore di cosa significhi appartenere a queste due categorie e quale peso questo comporti. È un film scritto in maniera intelligente e girato con cognizione di causa, che non ha paura di osare. Non sarà perfetto (la gestione dei tempi non è proprio ottimale), ma è qualcosa a cui guardare con interesse e, perché no, pure un pizzico di ammirazione. 
VOTO: 7,5/10