Venezia 79: Bardo, la recensione del nuovo film di Alejandro G. Inarritu

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Di Simone Fabriziani

Un famoso giornalista e documentarista messicano torna nel paese natale ritrovandosi ad affrontare la sua identità, i rapporti familiari e la follia dei suoi ricordi. Non potrà esimersi dal relazionarsi anche con la realtà passata e presente del Messico. Presentato in anteprima mondiale alla 79° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e in arrivo sui Netflix a partire dal prossimo 16 dicembre, Bardo, la cronaca falsa di alcune verità è il nuovo, monumentale testamento cinematografico diretto dal quattro volte premio Oscar Alejandro Gonzalez Inarritu.

Era dalla fine del 2015 che il regista, produttore e sceneggiatore messicano non tornava dietro la macchina da presa per un lungometraggio; l’ultima, fortunata occasione, era stata Revenant – Redivivo, virtuoso survival movie con un Leonardo DiCaprio che per il complesso ruolo aveva agguantato la prima statuetta della sua carriera. Un lungometraggio pluripremiato (Inarritu ci aveva vinto il suo secondo Oscar alla regia) ma allo stesso tempo particolarmente ingombrante per la sua filmografia. Nulla a che vedere però con il suo precedente Birdman (o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza), che nel 2014 aveva regalato al regista centro-americano la consacrazione definitiva ad Hollywood e ben 4 Academy Awards, tra cui miglior film e regia. Una pungente e vorticosa satira dell’industria cinematografica hollywoodiana in piano sequenza che ha svolto il ruolo di pellicola spartiacque per la carriera di Inarritu; per il regista, c’è stato un prima ed un dopo Birdman, e di questo il cineasta ne è fortemente consapevole anche nel suo ambiziosissimo Bardo.

Il film è a tutti gli effetti una vera e propria sorta di remake in salsa messicana dello stesso film vincitore di 4 Oscar, condividendone l’impianto narrativo a cavallo tra sogno, fantasia e realtà, alcuni elementi della risoluzione finale e il magniloquente assetto visivo. Il linguaggio dietro la macchina da presa di questo epos cinematografico che sfiora le tre ore di durata, riflette tutti i trademark del cineasta messicano, tra messa in scena dal forte impatto fotografico (il lavoro del DOP Darius Khondji qui è da Oscar) elaboratissimi ed immersivi giochi di macchina da presa, long shot  e piani sequenza da applausi. Un opus magnum che di certo da molti verrà liquidato come fortemente vuoto e pretenzioso, ma che invece nasconde uno strato di grandissima onestà intellettuale.

Alejandro Gonzalez Inarritu sa consciamente che linguaggio cinematografico usa, quali le sue ossessioni, i suoi modelli del passato (e in Bardo, su tutti, aleggiano leggiadri i fantasmi ingombranti di Fellini, Bergman, Jodorowski, Bunuel, tra gli altri), fa tesoro delle sue esperienze dietro la macchina da presa del suo passato e decide di gettare nella spazzatura le forti critiche che gli sono state mosse con veemenza da molta parte della critica internazionale. Per il suo atteso ritorno in Messico (il suo ultimo film in terra natia era il sottovalutato Biutiful, nel 2010) non ha paura di riprendere le fila del discorso lasciato in sospeso nell’emblematico Birdman e confezionare una personalissima opera dal respiro però immaginifico e monumentale senza compromessi.
Tra realtà e finzione, incubi e sogni ad occhi aperti, passato e presente del suo alter ego Silverio Goma (il bravissimo Daniel Gimenez Cacho), Bardo ha già spaccato le opinioni della critica internazionale per la sua visione cinematografica ingombrante ed intransigente. Un lungometraggio-fiume che probabilmente chiuderà un cerchio narrativo e personale per Inarritu, che qui fa un po’ i conti con se stesso e con il passato ed il presente della sua madrepatria anche grazie ad una riflessione sul senso dell’appartenenza geografica che suona particolarmente vicino all’intimità dello stesso regista, messicano di nascita e formazione ma che ha vinto tutti i suoi più importanti riconoscimenti in terra americana.
Bardo, la cronaca falsa di alcune verità debutterà su Netflix per tutti a partire dal prossimo 16 dicembre

VOTO: ★★★★


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