Youth – La giovinezza – La recensione

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Di Francesco Vagnarelli

Dopo due anni dal celebrato, per quanto controverso, La grande bellezza, Paolo Sorrentino torna sul grande schermo con un’opera altrettanto audace: Youth – La giovinezza. Il contesto mediatico è lo stesso, la grande vetrina del Festival di Cannes, la struttura filmica affine, il cast radicalmente diverso.

A quello totalmente tricolore de La grande bellezza, risponde qui uno internazionale, che vanta nomi come Michael Caine, Harvey Keitel, Paul Dano, Jane Fonda e, soprattutto, il ritorno della britannica Rachel Weisz, una delle attrici più raffinate e sofisticate della sua generazione, della quale in effetti si sentiva la mancanza. Il film è in lingua inglese, ma ciò non tradisce un’impostazione tipica di un certo genere di cinema italiano, di cui Sorrentino si fa massimo portavoce.

La trama non è originalissima: in un’elegante e lussuosa struttura che oscilla costantemente fra i due estremi della sua doppia natura di hotel di lusso e casa di riposo dove attendere agiatamente la morte, incastonata nella meraviglia della natura svizzera, si intrecciano le storie dei tre protagonisti: Fred Ballinger (Caine), un malinconico compositore e direttore d’orchestra con un passato irrisolto, Mick Boyle (Keitel) suo amico fraterno e regista affermato alle prese con la sceneggiatura del suo ultimo film, Jane (Weisz), figlia del compositore, tradita e abbandonata dal marito. Ad essi si aggiunge la presenza di Jimmy Tree (Dano) un giovane attore frustrato perché riconosciuto e amato per un unico ruolo, per altro detestato dall’attore stesso. La richiesta da parte di un portavoce della Regina Elisabetta a Fred di uscire dal ritiro in Svizzera per dirigere la sua Opera Prima in onore del compleanno del principe Filippo D’Edimburgo, lo getta in una spirale di ripensamenti, riflessioni, accesi dibattiti che riaprono ferite aperte ma mai manifestate con la figlia e soprattutto ricordi, benché offuscati dalla vecchiaia. Al contempo Mick, non riuscendo a donare al suo film un finale degno e scosso dal rifiuto della sua musa e amica (Fonda) ad interpretarlo, rinuncia definitivamente al progetto. Attraverso flashback, visioni oniriche e brevi storie parallele, il film si concentra sulla dicotomia vecchiaia/giovinezza. Non è un fattore anagrafico, né tanto meno fisico, come lascia intendere lo stesso Fred in una delle bautte finali del film.

La vecchiaia è quella particolare condizione per cui non c’è più possibilità di cambiamento, ed è la risposta a cui approderanno i due protagonisti. La vecchiaia cristallizza e paralizza definitivamente l’uomo nel personaggio che è. Ma la tesi del film è ancora più pungente ed aspra: alla vecchiaia non è concesso cambiare, perché indipendentemente dalla volontà degli individui, essi sono ormai personaggi, caratteri, stereotipi di se stessi, e come tali esistono per la società. Alla vecchiaia non è più permesso quell”odore di libertà”, elogiato dal personaggio della Weisz, quella libertà che permette di essere realmente ciò che si vuole, e che i due protagonisti più giovani sperimenteranno, ribellandosi all’ordinario della loro vita. Il futuro, per chi vive la vecchiaia, risiede in una stoica accettazione di essere l’immagine che la società vede e vuole vedere. E il film presenta entrambe le vie, quella dell’accettazione e del rifiuto, non giungendo ad una conclusione netta, ma ad un’aristotelica catarsi. Per Aristotele la catarsi consisteva nell’emozione che rivolta verso l’emozione stessa e come tale, viene esaltata e purificata. Nel film accade lo stesso; non c’è finale narrativo, ma puramente emotivo.

Per quanto riguarda la regia, Sorrentino ci ha ormai abituati ad una narrazione discontinua, oscillante fra sogno e realtà, intrisa di figure grottesche e borderline. Da sottolineare è l’importanza attribuita all’acqua, da sempre considerato elemento e simbolo di vita, in un film che è sostanzialmente racchiuso nell’orizzonte della morte. Resta però un dubbio, già riscontrato ne La grande bellezza: quanto Sorrentino sia sincero. Quanto realmente senta, partecipi delle scene che mette in atto o se la scelta dei temi, dei personaggi, e delle scene, a volte al limite del buon gusto, siano una furbizia, un escamotage per riconoscimenti a mani basse. Resta il fatto che il film merita la visione, non fosse altro per la prova attoriale dei magistrali interpreti.
VOTO: 3/5

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