HUNGER GAMES: IL CANTO DELLA RIVOLTA PARTE II- La Recensione

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Di Emanuele D’Aniello

L’ultimo capitolo della saga di Hunger Games è la definitiva conferma che, se ancora ce ne fosse bisogno, non abbiamo assistito ad un semplice adattamento di romanzi young-adult, ma ad una delle opere più viscerali e contemporanee degli ultimi anni al cinema. Pur tra i suoi difetti, e le spinte continue verso una semplicità forzata per raggiungere il pubblico più ampio possibile, Hunger Games è davvero una delle saghe cinematografiche più importanti degli ultimi anni, perchè ha saputo portare avanti un discorso enormemente serio e radicale senza mai omettere la grande tristezza e violenza, letterale e psicologica, di fondo. 

Senza mezzi termini, Il Canto della Rivolta Parte 2 è un film di guerra. Non ci sono dubbi, e non ci sono equivoci possibili. Chi fin dal primo film ha etichettato questa saga come il clone americano di Battle Royale, e liquidata con superficialità come l’ennesimo spettacolo violento fine a se stesso, ora si deve davvero nascondere dietro l’angolo: se il film asiatico infatti proponeva una riflessione sulla violenza nella società moderna, specialmente giovanile, Hunger Games fin da subito ha lavorato su più livelli, avendo in comune soltanto la premessa (non che uno sia migliore dell’altro, dico solo che sono film diversissimi). E’ comunque del tutto irrilevante fare paragoni ora, semmai quello che conta è capire come le pagine di Suzanne Collins prima, ed i film poi, abbiano abbracciato la distopia fantascientifica più classica per fare un discorso politico. Non è forse il caso di scomodare George Orwell, ma siamo comunque in quei territori, che si voglia ammettere o meno.

Se i primi due film si sono concentrati sul mostrare come lavorano le dittature, a cominciare dalla mistificazione dei media e dall’intrattenimento per le masse, col detto “panem et circenses” vero mantra da seguire, gli ultimi due film hanno mostrato invece come le dittature e le rivoluzioni siano quasi sempre due facce della stessa medaglia, mostrando che chi opera per sostituire un despota spesso utilizza i medesimi mezzi. Gli esempi nella nostra storia reale sono interminabili. Non a caso negli ultimi due film ha assunto un ruolo ancora più inquietante l’importanza dei media in guerra, avvicinando la creazione delle immagini di propaganda, in modo tragicamente attuale, a nuovi reality show: non vince chi è più forte, ma chi si sa vendere meglio alla percezione pubblica.

In tale percorso il personaggio di Katniss Everdeen diventa, se possibile, ancora più centrale e fondamentale rispetto ai precedenti film. Non è più la ragazzina impaurita e costretta a diventare macchina omicida dei primi capitoli, e non è nemmeno semplicemente una futuristica Giovanna d’Arco manovrata da forze più potenti di lei: Katniss ora è un personaggio che, muovendosi in bilico tra l’icona e l’umano, deve continuamente prendere decisioni morali difficili, per cui il ricordo di ogni persona morta fin dall’inizio della storia conta, col sentimento che deve essere bilanciato al pragmatismo. Katniss è uno dei personaggi più sfaccettati e meglio riusciti del cinema contemporaneo, autentico simbolo della rinascita del femminismo cinematografico, una ragazza fragile ma forte, profondamente empatica, i cui difetti e lati spigolosi non sono mai taciuti, che ispira chissà quante giovani ragazze nel mondo. E’ ovviamente decisiva la performance di Jennifer Lawrence, per la quale ogni aggettivo è ormai ridondante: quello che stupisce davvero di lei, oltre a rimanerne colpiti film dopo film pur essendo già consapevoli del suo talento, è l’incredibile personalità e intensità, la capacità di non sprecare mai uno sguardo, un’espressione, un gesto, caricando ogni singola inquadratura di emozione vera.

Quello che invece manca a Il Canto della Rivolta Parte 2, se proprio vogliamo essere sinceri, è l’assenza di emancipazione cinematografica dal proprio disegno tematico. Mi spiego meglio: l’intero film fa una fatica pazzesca a condensare i fatti in modo organico, ed è spesso indeciso se raccontarli, rischiando la didascalia, oppure mostrarli, come un buon film dovrebbe fare. Ne consegue una prima ora dal ritmo piuttosto scialbo, l’approccio ad alcuni avvenimenti un po’ anticlimatico – specialmente ad un fatto importante riguardante la sorella di Katniss – e la catena di finali non necessari che hanno ricordato l’incubo Il Ritono del Re (un film che non voleva finire mai). Non a caso, per smuovere le acque il film prova a recuperare nella struttura i giochi mortali dei primi due film: l’invasione a Capitol City assume sempre più i connotati di nuova gara mortale dentro un’arena fittizia. In realtà, il più grande difetto a posteriori è la divisione dell’ultimo libro in due film: considerando soprattutto che la Parte 1 è un film in cui, fondamentale, non succede nulla, e questa Parte 2 inizia in media res e ha un grosso stacco di ritmo verso la metà, è quasi inutile dire che unire i due film, tagliando molte scene inutili, avrebbe regalato un qualcosa di grandioso.

Il Canto della Rivolta Parte 2 rimane comunque, al netto di errori dovuti non alla realizzazione ma alla pianificazione iniziale della storia, la degna chiusura di una saga che pian piano ha mostrato il suo vero volto, ossia quello di una purissima distopia politica che non ha nulla da invidiare, tematicamente, ai grandi classici del genere: che tutto ciò avvenga in un moderno blockbuster altamente spettacolare in grado di parlare ad un pubblico di giovani, lo trovo assolutamente un bene per tutti.
VOTO: 3/5