18.1.16

Prima dell'Oscar - Michael Fassbender in Fish Tank

Di Elisa Torsiello

C'era un tempo, neanche troppo lontano (correva l’anno 2009), nel quale difficile e ardua era l’impresa di scorgere brillare nel firmamento hollywoodiano la stella di Michael Fassbender. Ciò non significa che essa non ci fosse; solo, non era stata ancora accesa dalla fiamma del successo.
Se il tempo scorre inesorabile, i film, quelli, rimangono per sempre. E allora ecco che ci è permesso riscoprire e constatare quanto talento già si nascondesse in questo attore; quanto fossero lì, in attesa di esplodere, alcune delle caratteristiche recitative che hanno oggi reso Fassbender uno dei migliori attori nel campo del cinema. Tra i tanti titoli che meritano una seconda visione, se non addirittura una vera e propria riscoperta, vi è sicuramente Fish Tank. Diretto da Andrea Arnold e presentato al Festival di Cannes del 2009, il film racconta senza tanto buonismo, ma in maniera onesta e sincera, le vicende della quindicenne Mia, divisa tra il sogno di diventare ballerina e una situazione famigliare che non fa altro che acuire la sensazione di disagio e insicurezza che attornia la ragazza. 
Sullo sfondo della periferia urbana dell’Essex, la macchina da presa in continuo movimento di Andrea Arnold indaga, in maniera quasi documentarista e dal sapore neorealista, il disagio adolescenziale di Mia e lo fa giocando con una successione di primi piani e inquadrature ristrette non tanto per puntare alla resa emozionale del personaggio, quanto piuttosto nel lasciare che le immagini e gli eventi, scorrendo liberamente dinnanzi a lei, si raccontino liberamente e in maniera naturale. Poche le inquadrature in cui vediamo Mia condividere lo schermo con qualcun altro, segno della sua solitudine e incomprensione. La ragazza vive in una bolla di sapone rivestita dal ritmo della musica hip hop, all’interno della quale lei si può isolare dal resto del mondo e, a passi di danza, lasciarsi andare mostrando la vera sé stessa. Questa bolla non è però indistruttibile; analogamente a l’animo di Mia, essa rivela delle piccole crepe, dalle quali piano piano comincerà a farsi largo, per poi entrarvici, il personaggio di Connor (Michael Fassbender), l’amante della madre e poi della stessa Mia. Non è un caso se i momenti salienti del loro legame sono caratterizzati dalla presenza della musica e dell’esecuzione improvvisata di balletti. Affiancando tale personaggio a quello che è per Mia un amore incondizionato nei confronti della danza e della musica, possiamo comprendere quanto sia potente l’attrazione che la ragazza, forse per la prima volta nella sua vita, provi per un uomo. In maniera quasi edipica, in lui non solo ritrova una figura paterna che, come ci è possibile dedurre da quei pochi indizi impliciti alla sua storia passata, è stata assente nella sua vita, ma anche quella dell’amante, della prima infatuazione. E allo stesso modo non sorprende quanto, in un animo ribelle come quello di Mia, privato dell’infanzia dell’affetto e dell’amore, la scoperta della verità sul conto di Connor, da fuoco passionale si tramuti in fuoco di vendetta. Connor sin dalla sua comparsa in scena a torso nudo in cucina, si mostra come un personaggio affascinante, intrigante, che attira Mia con il suo sguardo, il suo fare affabile e gentile; eppure si percepisce in maniera sottesa e fastidiosa la sensazione che egli possa nascondere qualcosa, rendendo impossibile il fidarsi completamente di lui. Ecco allora che compare nella resa del personaggio ad opera di Fassbender quel primo accenno a quel sorriso e a quello sguardo capace di mescolare eros e thanatos con cui l’attore ci ha oggi abituati a portare in scena i suoi personaggi più cupi e allo stesso tempo ammalianti.
Come un nuovo canto delle sirene, la performance di Michael nei panni di Connor incanta non solo Mia, ma anche noi spettatori. Ci perdiamo nelle sue parole, nel suo fare canzonatorio, ci lasciamo impressionare dalla sua gentilezza e simpatia, dal modo con cui incoraggia il talento di Mia per il ballo («You dance like a black… I mean it’s a compliment» le dirà per spronarla a perseguire questa passione) per poi rimanere impietriti e traditi quando scopriamo insieme a Mia che quello a cui abbiamo assistito non era altro per lui, uomo di famiglia, che un gioco e un passatempo. Fassbender è stato qui in grado di caratterizzare un personaggio sulla carta già visto, donandogli una introspezione psicologica che si ritroverà successivamente nelle performance attoriali regalateci da Fassbender. L’ombra di Condor, insieme a quella di Archie Hicox in Bastardi senza gloria, sono destinate a seguire per sempre quelle dei personaggi a cui Fassbender ha dato e darà corpo. Ecco perché Fish Tank è un film da riscoprire. Solo apprezzando e conoscendo il passato di un attore possiamo davvero comprendere il suo presente e il suo futuro. Solo conoscendo Connor possiamo davvero capire da quale commistione di scelte e caratteri performativi quella luce che ora brilla nel firmamento hollywoodiano ha avuto origine.