House of Cards 4: il fascino del potere e l’arrivo del terrore

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Di Daniele Ambrosini

L’articolo prende in analisi la quarta stagione per intero con riferimenti anche alle precedenti stagioni di House of Cards, perciò continuate a leggere solo se avete visto tutti gli episodi della serie. Arrivati al Capitolo 52 si può dire che questa quarta stagione, pur non essendo la migliore della serie, resti sempre su altissimi livelli e pone buone basi per una quinta stagione che dovrà però fare a meno del suo creatore, Beau Willimon.

La storia riprende da dove ci aveva lasciati il finale della scorsa stagione, dalla crisi matrimoniale degi coniugi Underwood. La stagione può essere divisa in sezioni, perché se i primi episodi si occupano delle vicende matrimoniali del Presidente e della First Lady e per un momento la politica resta un po’ in secondo piano, con il terzo episodio a fare da spartiacque, nel quarto episodio arriva un importante colpo di scena che cambia i toni della narrazione: Lucas Goodwin spara al presidente Frank Underwood. Con questo avvenimento ha inizio una sezione che vedrà Claire assoluta protagonista; se Frank torna alla fine del sesto episodio è nel settimo che arrivano i personaggi che cambiano di nuovo le carte in tavola sconvolgendo le dinamiche politiche della serie: i Conway, la controparte repubblicana degli Underwood. Poi il meraviglioso dittico composto dagli episodi 9 e 10 narra della conquista della nomina a Vicepresidente da parte della First Lady Claire Underwwod al fianco del marito, ai danni della Durant; mentre negli ultimi episodi diventa centrale la guerra al terrorismo con la pressante figura dell’Ico, organizzazione ricalcata sui tratti dell’Isis.
 
La molteplicità delle storie e delle linee narrative è una caratteristica della serie di Willimon che ha sempre avuto la tendenza a rendere indipendente ogni arco di episodi, tagliando quanti più collegamenti possibili con le stagioni precedenti per impostare storie sempre nuove e così è successo anche quest’anno, sebbene in maniera minore: alla fine della scorsa stagione avevamo lasciato la scena politica con le primarie democratiche che vedevano il trio Underwood-Sharp-Dunbar protagonista, ma sia la Sharp che la Dunbar vengono immediatamente messe in secondo piano per far emergere gli avversari repubblicani, Will Conway e sua moglie Hannah, candidati freschi, con grande presa sugli elettori e che sembrano cadere sempre in piedi. Perciò, come ogni anno, veniamo catapultati in uno scenario diverso da quello che avevamo lasciato perché nonostante lo scontro con la Dunbar alla fine della scorsa stagione sembrasse non essersi esaurito del tutto questa è la politica di House of Cards, le cose vanno veloci e le persone vengono lasciate indietro perché come ci ha più volte dimostrato la serie tutti sono sacrificabili, tutti. Va però detto che essendosi conclusa la scalata di Frank, che ormai deve solo lottare per mantenere la sua posizione, non è più possibile un radicale cambio di scenario perciò come non mai gli Underwood si ritrovano fermi e non potendo più scappare alcuni pezzi del loro passato tornano pressanti a farsi sentire. Infatti come mai prima d’ora questa stagione crea un arco di collegamento con le precedenti, attraverso le storie ed i personaggi, basti pensar e all’indagine di Tom Hammerschmidt per il Wahington Herald e ai ritorni di Lucas Goodwin, Freddy Hayes, Garrett Walker, Jackie Sharp, Heather Dunbar, Tom Yates ed addirittura di Zoe Burnes e Peter Russo (probabilmente tra i personaggi più amati della serie). Inoltre si torna anche in alcune location note ai fan della serie come la redazione dell’Herald, la casa degli Underwood ed il ristorante di Freddy. Insomma questa è una stagione che strizza l’occhio ai nostalgici ma allo stesso tempo vuole guardare al futuro, Russo e Zoe sono dei fantasmi nella mente di Frank, fuori dal suo controllo, qualcosa da dimenticare, gli altri sono personaggi sfuggenti, ed esclusi Tom Yates e Tom Hammerschmidt, nessuno ha un ruolo centrale o particolarmente influente nella storyline e proprio come Zoe nella seconda stagione per prendere le distanze dal passato diciamo definitivamente addio a due personaggi, Lucas e Meechum. Questo ritorno al passato e la fine della scalata politica possono però anche essere sinotmatici del fatto che la serie si stia avviando alla sua naturale conclusione, e questo Beau Willimon probabilmente l’ha compreso e non ha voluto correre il rischio di contribuire a tirare troppo la corda.
Molti spunti di riflessione su temi di attualità politica emergono nel corso delle 13 puntate come il dibattito sulle armi, la guerra al terrorismo, l’aumento del prezzo del petrolio, i difficili rapporti con l’oriente ed inoltre sono presenti anche molti riferimenti alla vera politica americana, primo fra tutti l’attentato a Frank Underwood che riporta subito alla mente l’assassinio di Kennedy ma che in realtà è ricalcato sull’attentato a Ronald Reagan del 1981.
Altro punto forte della sceneggiatura della serie sono sicuramente i due protagonisti, interpretati dai sempre magnifici Kevin Spacey e Robin Wright. In questa stagione il rapporto tra i due si fa sempre più complesso, soprattutto dopo il ritorno di Yates, ed il loro matrimonio sembra essere ormai solo la facciata per la stampa di una coppia che condivide giusto gli ideali politici e poco altro, ma è innegabile che qualsiasi cosa ci sia tra loro è davvero molto forte, per quanto possa essere difficile definirlo amore, il loro è un legame unico.
Ciò che distingue questa stagione dalle altre è il coraggio di puntare tutto sul personaggio di Claire che non è mai stato così protagonista e del quale abbiamo potuto conoscere meglio il background grazie al ritorno in Texas dalla madre (interpretata da una Ellen Burstyn in odore di Emmy come guest star) con la quale ha un rapporto molto  travagliato. Alla fine dell’ultimo episodio mentre Frank si rivolge direttamente allo spettatore, come suo solito, anche Claire si gira e guarda direttamente in camera ed è la prima volta in 4 anni, questo è un segno della maggiore importanza acquisita dal personaggio, ed è una bellissima novità.
Questa stagione ci offre alcuni degli episodi più riusciti della serie: se all’inizio l’episodio 4 sembra insuperabile, poi arriva il 10, diretto da una bravissima Robin Wright, e dopo ancora il 13, scritto dall’inconfondibile Beau Willimon (ed eletto il migliore di tutta la serie dagli utenti di Imdb), perché gli episodi con la Wright in regia e quelli con Willimon in scrittura hanno una marcia in più, è innegabile.
Perciò se una parte di critica non aveva amato la terza stagione con questa quarta tornata di episodi House of Cards sembra essere tornata nelle grazie della stampa ed anche il pubblico l’ha apprezzata ampiamente, quindi chissà che lo show di Netflix non inizi ad attirare l’attenzione anche degli Emmy.
Come detto all’inizio non sarà la stagione migliore ma la qualità resta molto alta e nonostante si inizi a tirare un po’ la corda i coniugi Underwood restano tra i migliori personaggi seriali in circolazione e non possiamo che essere felici di poterli vedere nuovamente in azione il prossimo anno.