I 20 migliori film del 2016 secondo Awards Today

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Di Redazione

Non sono stati pochi i cineasti ad aver dato l’estrema unzione al mondo del cinema, forse affannati dalla continua produzione di blockbuster come i cinecomics e le commedie di bassa lega. Ogni anno però abbiamo la conferma di quanto le loro affermazioni fossero sbagliate, in un’era in cui il cinema indie, quello dei festival e degli autori, non è mai stato più prolifico.

Ci lasciamo alle spalle un 2016 ricco di grandi titoli, dalla vastità di contenuti e dalle nuove scoperte. Sì, perché molti sono i registi, chi alla prima chi alla seconda opera, che hanno rubato la scena ai nomi illustri di Hollywood. Il Sundance, Cannes, Venezia e Toronto ci hanno offerto quest’anno alcuni dei titoli più emozionanti degli ultimi tempi. Abbiamo assistito alla rinascita di generi come il musical, l’horror e il biopic; ma anche di registi e attori che credevamo ormai perduti. Un anno di scoperte e rinascite quindi, su cui è stato difficile ponderare i migliori titoli.
Vagliando le nostre visioni dei festival italiani (come Venezia, Roma e Torino) e dei rilasci nelle nostre sale, ecco quali sono i 20 migliori film entrati nel cuore della nostra redazione. Delle scelte motivate soprattutto dal gusto personale di ogni autore di Awards Today.

Gabriele La Spina:

The Witch di Robert Eggers

New England, XVII secolo. William e Katherine conducono una devota vita cristiana insieme ai loro cinque figli in una zona ai margini dell’impraticabile deserto. Quando il loro figlio neonato svanisce e il raccolto va a male, la famiglia comincia a disintegrarsi e tutti finiscono con il darsi addosso a vicenda. Il vero pericolo però è il male sovrannaturale che si nasconde nel vicino bosco.
Perché: Una pièce teatrale dallo sguardo orrorifico sul fanatismo religioso travestita da moderna rilettura delle favole dei fratelli Grimm. Lo stile registico kubrickiano e le grandi performance del suo cast fanno di The Witch uno dei migliori horror d’autore degli ultimi anni.

Neruda di Pablo Larraín

Nel 1948 il clima della Guerra Fredda raggiunge il Cile. Durante un appassionato discorso al Congresso il senatore Pablo Neruda, poeta e comunista, critica il governo. Il presidente Varela lo rimuove immediatamente dal suo incarico e delega il suo arresto a Oscar Peluchonneau, un inspettore della polizia. Neruda e la moglie, la pittrice Delia del Carril, falliscono il loro tentativo di fuga dal Cile e sono costretti a nascondersi. Con Peluchonneau alle costole, il clandestino Neruda completa la stesura di Canto General e si dedica a escursioni notturne segrete. La storia della caccia al poeta in breve giunge in Europa, dove gli artisti guidati da Pablo Picasso fanno sentire la loro voce per la libertà di Neruda.
Perché: Una pellicola dove le poesie di Neruda si intersecano naturalmente con i dialoghi di una sceneggiatura in continua sospensione tra realtà e finzione, tra surrealismo e tangibilità dei sentimenti. Contornato da una regia rarefatta e di estrema profondità narrativa, aperta a molteplici chiavi di lettura.

Lion di Garth Davis
Saroo, un bambino di cinque anni, è da solo e, spaventato e confuso, si ritrova dopo un lungo viaggio in treno nella caotica Calcutta, lontano un migliaio di miglia da casa. Cercando di sopravvivere alla vita di strada, finisce per essere adottato da una coppia di australiani che lo cresce con amore a Hobart. Non volendo ferire i sentimenti dei genitori adottivi, Saroo seppellisce il suo passato e il desiderio di ritrovare la madre e il fratello biologici. Un incontro casuale però riporterà a galla il suo sogno, facendolo imbarcare in una delle più grandi avventure della sua vita.
Perché: Per metà un live action bollywoodiano di WALL•E e per un’altra metà un delicato dramma familiare sorretto dalle ottime performance di un cast al suo meglio, quello di Garth Davis è un film sulla ricerca di sé stessi nelle proprie origini, un’efficace racconto che si interroga sulla raison d’etre dell’essere umano.

Julieta di Pedro Almodóvar

Julieta, una professoressa di cinquantacinque anni, cerca di spiegare, scrivendo, a sua figlia Antia tutto ciò che ha messo a tacere nel corso degli ultimi trent’anni, dal momento cioè del suo concepimento. Al termine della scrittura non sa però dove inviare la sua confessione. Sua figlia l’ha lasciata appena diciottenne, e negli ultimi dodici anni Julieta non ha più avuto sue notizie. L’ha cercata con tutti i mezzi in suo potere, ma la ricerca conferma che Antia è ormai una perfetta sconosciuta.
Perché: Almodóvar torna in grande forma e lo fa con quella che è la sua pellicola più romantica e delicata, parabola di un rapporto madre figlia perpetuato nel tempo. Un film che fa respirare quel rimpianto e quella malinconia che da fin troppo mancava nei personaggi del cinema di Almodóvar.

The Neon Demon di Nicolas Winding Refn

Quando Jesse, aspirante modella, si trasferisce a Los Angeles, la sua giovinezza e la sua vitalità sono divorate da un gruppo di donne ossessionate dalla bellezza, che faranno di tutto per ottenere ciò che lei ha.
Perché: Refn firma la pellicola più audace, disturbante e contorta della sua carriera. Con una ricerca estetica maniacale nella regia a discapito di una sceneggiatura mirata alla giustificazione dell’immagine. Tra simbolismi e messaggi subliminali si vive un’esperienza visiva che nel bene o nel male scuote lo spettatore, lanciando in modo spietato una chiara critica alla società moderna e al suo assurdo quanto ossessivo culto della bellezza.

Edoardo Intonti:

Ma Loute di Bruno Dumont
Estate 1910. Diversi turisti scompaiono mentre si rilassano sulle splendide spiagge sulla costa della Manica. Gli ispettori Machin e Malfoy si occupano del caso e presto individuano come epicentro delle sparizioni la baia di Slack, un posto dove l’omonimo fiume e il mare si congiungono e che è spesso soggetto a maree. Nella zona vive una piccola comunità di pescatori e di allevatori di ostriche, come la famiglia Bréfort, che è composta da un numero cospicuo di figli, tra cui l’impetuoso diciottenne Ma Loute, ed è guidata dal padre, soprannominato “l’Eterno”. Al di sopra della baia, sorge inoltre la villa dei Van Peteghem, dove ogni estate gli un tempo ricchi padroni trascorrono le loro giornate. Nell’arco di cinque giorni, ha origine una storia d’amore molto particolare tra Ma Loute e Billie Van Peteghem, un legame destinato a scuotere entrambe le famiglie, le loro convinzioni e i loro stili di vita.
Perché: Una commedia surreale e dai personaggi quasi fumettistici nella loro volontaria caricaturalità di due classi sociali opposte in un determinato periodo storico (il primo decennio del 1900).Bruno Dumont dimostra come un regista possa passare dai toni più seri di inizio carriera e come in Europa sia ancora possibile fare della commedia di classe. Fotografia spettacolare e atmosfere da cinema delle origini.

A Bigger Splash di Luca Guadagnino
Paul e Marianne stanno trascorrendo le vacanze sull’isola di Pantelleria. Lei è una celebre rock star, lui un giovane fotografo. Il loro soggiorno è inaspettatamente interrotto da Harry, ex di Marianne e amico di Paul, snobbato in certi ambienti e considerato un dio in altri, avendo prodotto grandi rock band come i Rolling Stones. Harry arriva sull’isola con Penelope, che all’inizio tutti credono la sua nuova giovane amante, ma che in realtà è la figlia che ha di recente scoperto di avere. Penelope è una strana ragazza, composta e distaccata. L’isola si sta preparando al Ferragosto, e Marianne invita Harry e Penelope a restare con loro per il weekend. Inconsapevolmente la tavola è apparecchiata per il disastro. Marianne si scopre nuovamente attratta da Harry; Penelope mette gli occhi su Paul; la tensione della passata intimità appesantisce l’aria. Paul e Marianne lottano per mantenere in piedi il loro fragile legame, ma un giorno, mentre Marianne trascorre il pomeriggio con Harry, Paul si ritrova da solo con Penelope. Col trascorrere delle ore diventa chiaro che i tradimenti che si sono consumati cambieranno la vita di tutti. Harry torna alla villa nel mezzo della notte, ubriaco mentre Paul lo sta aspettando.
Perché: Una muta Tilda Swinton e  un dirompente Ralph Finnes in un remake dalla selvaggia ambientazione di Pantelleria. Colori,sapori, vento, sesso e morte sono i classici temi di Guadagnino (questa volta con contorno di Rolling Stones), finalmente tornato a dirigere dopo il vuoto lasciato da Io sono l’amore nel lontano 2009.

Il condominio dei cuori infranti di Samuel Benchetrit
In un edificio popolare, l’ascensore sempre guasto diventa occasione d’incontro tra i condomini: il vecchio Sternkowitz e un’infermiera di notte, l’attrice in pensione Jeanne, il giovane Charly, l’astronauta McKenzie e Madame Hamida. Tutti hanno in comune la loro solitudine ma, incrociandosi e ammansendosi a vicenda, si troveranno riuniti dalla grande tenerezza che esiste in ciascuno di loro.
Perché: Samuel Benchetrit mostra la realtà solitaria dei condomini di una periferia francese, laddove si incontrano personaggi reali nei loro limiti, nella loro ignoranza o nella loro cocciutaggine, ma che con la loro luce interiore e la loro autenticità riescono a superare i loro limiti, facendo ben sperare per il nostro futuro.

Christine di Antonio Campos
Nel 1974 la giornalista televisiva Christine Chubbuck aspira ad alti standard di vita e amore a Sarasota, in Florida. Fallire per lei non è un’opzione da tenere in considerazione e divenire famosa sarà come una missione da portare a termine, anche a costo della vita stessa.
Perché: già con La fuga di Marta, Antonio Campos aveva dimostrato di essere indipendente con la capacità di raccontare grandi storie. In questo caso una storia vera, tragica, che ci trascina nel baratro della protagonista Rebecca Hall (eccezionale) e della sua spirale autodistruttiva, il tutto con un’eleganza e un approccio che ci permette davvero di immedesimarci insieme alla vera Christine.

Frantz di François Ozon
In una cittadina tedesca poco dopo la Prima guerra mondiale, Anna si reca tutti i giorni sulla tomba del fidanzato Frantz, ucciso in Francia. Un giorno Adrien, un misterioso ragazzo francese, porta dei fiori alla tomba e la sua presenza susciterà delle reazioni imprevedibili in un ambiente segnato dalla sconfitta tedesca.
Perché: Difficilmente non apprezzabile nei suoi eleganti temi bianco neri e nella ricostruzione perfettamente riuscita dell’ambientazione post prima guerra mondiale ( che come nel Nastro Bianco già percepibili le tensioni della Germania e la conseguente seconda guerra) la regia è estremamente colta e con rimandi ai grandi autori del passato (anche la scrittura è una reinterpretazione di un lavoro di Lubitsch) François Ozon si conferma uno degli autori francesi più abile nel reinventarsi.

Simone Fabriziani:


Animali Notturni di Tom Ford
In una Los Angeles asettica e fantasmatica, una  gallerista d’arte contemporanea riceve in regalo dal suo ex-marito un romanzo dedicato a lei. La lettura sarà l’inizio di una perturbante discesa in uno scomodo passato, in precario equilibrio tra realtà e racconto fittizio.
Perché: Al secondo lungometraggio da regista e sceneggiatore, lo stilista Tom Ford si conferma grande narratore del grande schermo, e suggellarlo il Gran Premio della Giuria a Venezia vinto quest’anno. Ford non nasconde i suoi personaggi dietro ad una superficiale patina di bellezza fotografica, ma adattando il romanzo “Tony e Susan” di Austin Wright gioca sensibilmente con la macchina da presa e con le parole immergendo la sua seconda pellicola in una personale visione di amore, arte, morte e vendetta in equilibrio miracoloso tra realtà e finzione. Cinema allo stato puro.

Moonlight di Barry Jenkins
Tre momenti della vita di Chiron a cavallo tra infanzia, adolescenza e età adulta raccontati in tre emblematici atti cinematografici. Sullo sfondo, il difficile ambiente del traffico di droga e della criminalità a Miami e il dolore interiore di una identità sessuale non accettata.
Perché: Il regista e sceneggiatore Barry Jenkins racconta la condizione della comunità afro-americana in America attraverso gli occhi di Chiron in tre fasi chiave della crescita e dell’accettazione della propria identità. Non soltanto racconto cinematografico LGBT o di minoranza etnica, “Moonlight” è anche una commovente lettere d’amore alla macchina da presa e alla magia che essa produce sul grande schermo, raccontando temi scottanti con inaudita poesia visiva.

Hell or High Water di David Mackenzie
Due fratelli del Texas assaltano alcune banche lasciando dietro di se una scia di sangue e criminalità per salvare il ranch di famiglia dopo la morte del padre. A giocare al gatto e il topo con loro un inflessibile sceriffo della polizia, disposto a tutto pur di fermarli.
Perché: Il film di Mackenzie è diventato quest’anno l’indie movie americano dall’incasso totale più alto ed è sbarcato con discreto successo di pubblico su Netflix negli scorsi mesi. Il regista racconta con piglio dinamico un moderno western in cui le figure della legge dei banditi si trasfigurano per raccontare una storia di ordinaria follia ai tempi della crisi economica del Nuovo Millennio.

Il Cliente di Asghar Farhadi
Una coppia iraniana si sente sempre più tirata via dai legami del matrimonio dopo aver scoperto che la vecchia proprietaria del loro nuovo appartamento era una donna di appuntamenti; la crisi di coppia esploderà durante le prove per la messa in scena di “Morte di un Commesso Viaggiatore” di Arthur Miller e dopo una misteriosa aggressione nell’appartamento.
Perché: Il cinema di Farhadi si riconferma grande contenitore contemporaneo delle crepe nelle relazioni umane nella società moderna; ad essere colpita in maniera più violenta è sempre la famiglia, unità rinchiusa tra le mura asfissianti di una casa che non lascia mai sfuggire i propri segreti, le proprie tensioni. Le nevrosi della odiernità anche in questo caso, e soprattutto dopo l’ottima prova (premiata con l’Oscar) di “Una Separazione”, si abbattono su tutti, senza distinzioni geografiche e di nazionalità. Cinema globale nella sua accezione più benevola e positiva.

La tartaruga rossa di Michael Dudok de Wit
Un naufrago senza nome approda su un’isola deserta; la sopravvivenza non sarà delle più facili e a mettere i bastoni tra le ruote ai numerosi piani di fuga su un zattera ci penserà una misteriosa tartaruga rossa, che forse non è quello che sembra.
Perché: Il connubio tra animazione europea e giapponese (è la prima collaborazione che lo Studio Ghibli mette in atto con il vecchio continente) porta in vita una commovente favola sull’amore e sul prezioso dono della vita. Cosa accadrebbe se una tartaruga rossa desiderasse più di ogni altra cosa di essere un umano e di vivere appieno le gioie della vita? Il regista olandese Premio Oscar Michael Dudok de Wit immerge lo spettatore tra abbacinanti colori pastello e una maestria nel racconto muto ed esclusivamente per musica ed immagini indimenticabile. Il miglior film d’animazione dell’anno.

Daniele Ambrosini:


Sing Street di John Carney
Il quattordicenne Cosmo, cresciuto nella Dublino degli anni Ottanta, deve sopravvivere alla difficile vita familiare, caratterizzata dalla problematica relazione dei genitori, dai problemi economici e dalle angherie del fratello maggiore, e a una nuova scuola pubblica, dove tutto è più pesante da gestire. Cosmo, inoltre, scrive canzoni, forma una scombinata band con alcuni compagni di scuola e gira alcuni video musicali amatoriali, per conquistare il cuore della ribelle Raphina.
Perché: Sing Street ci racconta una storia semplice ma lo fa con tanta passione. L’ultimo film di John Carney è emotivamente sincero e coinvolgente. L’amore, la fratellanza e le aspettative per il futuro sono al centro di questo piccolo delizioso film musicale che è impossibile guardare senza sorridere e, di tanto in tanto, commuoversi. È la dimostrazione che si può ancora entrare in sala ed uscirne sentendosi meglio, è cinema che fa bene a l’anima, è un film che con tutta la sua spensierata ingenuità fa tornare giovani o (inversamente) rende felici di esserlo.

Indivisibili di Edoardo De Angelis
Dasy e Viola sono due gemelle siamesi diciottenni benedette dal dono di una voce incantevole. Il padre le tiene isolate del resto del mondo e sfrutta le loro doti canore per farle partecipare a cerimonie religiose e racimolare così soldi. La vita delle gemelle però viene sconvolta quando Viola si innamora e scoprono la possibilità di essere separate.
Perché: Indivisibili offre uno spaccato di vita dai tratti suggestivi e spiazzanti con un’evoluzione narrativa affascinante ed una struttura solida. La regia di De Angelis è eccellente e le gemelle Fontana sono una vera rivelazione, le loro sono forse le performance più meritevoli del nostro cinema da qualche anno a questa parte. Sebbene sia meno blasonato di altri titoli italiani che di recente hanno ottenuto il plauso della critica e del pubblico, Indivisibili è decisamente il miglior film italiano dell’anno appena trascorso: ha una forza narrativa unica ed arriva dritto al cuore, un vero successo.

Tutti vogliono qualcosa di Richard Linklater
Negli anni Ottanta, il giovane Jake è un promettente lanciatore di baseball che si appresta a frequentare il suo primo anno in un’università del Texas. Nuovo arrivato, nel fine settimana precedente l’inizio delle lezioni, conquista subito le simpatie della studentessa Beverly ma lo stesso non può dirsi del battitore McReynolds, che non nasconde il suo disprezzo per i lanciatori. Gli va però meglio con il resto dei compagni di squadra.
Perché: C’è tanto Linklater in questo film. Il Linklater che ama il cinema e gioca con il mezzo, il regista eterno adolescente che dilata e restringe il tempo a suo piacimento, il nostalgico che continua a dirci di cogliere l’attimo senza presunzione. Tutti vogliono qualcosa è un film leggero ma non per questo vuoto, anzi sarebbe meglio dire spensierato; perché ricopre una piccolissima finestra di tempo in cui è lecito dimenticare le preoccupazioni e ricordarsi di essere felici, e questo è sinceramente emozionante e coinvolgente.

Hunt for the Wilderpeople di Taika Waititi
Un combattivo ragazzino di città si ritrova in fuga con l’irascibile zio adottivo tra la natura selvaggia della Nuova Zelanda. Con la caccia all’uomo a livello nazionale che ne consegue, i due sono costretti a mettere da parte le loro differenze e a collaborare per sopravvivere.
Perché: Dopo quel piccolo capolavoro di What We Do In The Shadows, Taika Waititi confeziona un altro gioiello, un coming-of-age divertente ed avventuroso che riesce a muoversi tra diversi registri con grande agilità. Hunt for the Wilderpeople è intrattenimento di classe che alterna scene d’azione, gag esilaranti e momenti riflessivi; è un film che ha tanta cura nella messa in scena e nella valorizzazione dei suoi protagonisti, personaggi così diversi da risultare spesso inconciliabili. Speriamo possa arrivare in sala il prossimo anno e che il pubblico inizi ad accorgersi di questo autore Neozelandese che da qualche anno sta realizzando film davvero notevoli ma che hanno (ancora) poca visibilità.

Knight of Cups di Terrence Malick 
Rick è uno schiavo del sistema hollywoodiano. Egli è assuefatto al successo ma allo stesso tempo si dispera per il vuoto della sua vita. A suo agio nel mondo delle illusioni, è alla ricerca della vita vera. Come il cavaliere di coppe dei tarocchi, Rick si annoia facilmente e ha bisogno di stimoli esterni, perseguendo la sua natura di artista, romantico e avventuriero.
Perché: Malick ha ancora tanto da dire a chi ha voglia di starlo a sentire. È un regista che divide inevitabilmente: o lo si ama o lo si odia, non esistono vie di mezzo. E per chi lo ama Knight of Cups è un’opera che non deluderà le aspettative. Malick parla di amore e di solitudine attraverso un personaggio che, come nella tradizione del regista texano, cerca di trovare la sua identità, il suo percorso dalle tenebre verso la luce per sfuggire ai propri contrasti interiori. Checché se ne dica il cinema di Malick ha ancora una sua raison d’être ed una capacità di parlare al suo pubblico attraverso immagini spettacolari e pochi mirati monologhi e dialoghi, che non è da tutti. Knight of Cups è perfettamente inquadrato nello stile suggestivo ed allegorico che caratterizza il lavoro del suo regista ed è perciò un’opera unica nel panorama cinematografico mondiale, e non è mica poco.

Siete d’accordo con le nostre scelte? Quali sono i migliori film dell’anno secondo voi?