Collateral Beauty – La recensione

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Di Daniele Ambrosini

Il nuovo film di David Frankel, regista dei fortunati Il Diavolo veste Prada e Io & Marley, inizia con un breve flashback introduttivo che ci presenta il suo protagonista: Howard, un carismatico e solare uomo d’affari nonché socio di maggioranza un’agenzia pubblicitaria di New York.


Passati tre anni la vita di Howard è completamente cambiata: la morte della figlia l’ha fatto sprofondare in un baratro dal quale non riesce più ad uscire, è assente e trascura il lavoro, rischiando di far fallire la sua società. I suoi colleghi e amici decidono così di ingaggiare un’investigatrice privata che scopre che Howard scrive lettere all’amore, al tempo e alla morte, i tre pilastri che, secondo la filosofia di Howard, legano tutta l’umanità. Viene successivamente ingaggiata una piccola compagnia teatrale composta da tre persone, scoperta quasi per caso, che impersoni l’amore, il tempo e la morte. 

Il film si avvale di un cast stellare composto da Will Smith, Edward Norton, Kate Winslet, Michael Peña, Keira Knightley, Naomi Harris e Helen Mirren, ma neanche loro possono fare molto per salvare un progetto sbagliato fin dalle sue premesse e, onestamente, indifendibile. 

Frankel fa un lavoro discreto alla regia, è invece la sceneggiatura firmata da Allan Loeb il vero problema del film: è piena di banalità degne dei peggiori romanzi rosa ed è costruita secondo uno schema didascalico e scontato. Ogni personaggio che tenta di aiutare Howard ha un problema personale legato ad uno dei tre pilastri sopracitatti, e proprio a loro spetta il compito di preparare l’attore che dovrà interpretarlo, questo meccanismo è frutto di una semplificazione schematica davvero disarmante, soprattutto se si considera il finale in cui amore, tempo e morte si “rivelano”; si tratta di uno dei finali più brutti visti nell’ultimo anno di cinema se non di più, da far cadere le braccia per la disperazione. 

Gli unici elementi positivi sono le interpretazioni di Helen Mirren e Naomi Harris: la prima riesce a brillare grazie ad un ruolo inusuale e ad un personaggio tutto sommato divertente; la seconda ha forse il personaggio più forzato e meno credibile di tutti eppure la sua interpretazione contenuta e mai sopra le righe riesce a ridimensionare quello che sarebbe potuto essere un grandissimo scivolone. Il resto dei personaggi sono marginali e poco approfonditi oppure troppo poco interessanti per lasciare il segno, Will Smith in primis ha un personaggio che nonostante la grande tragedia alle sue spalle non riesce mai a creare la giusta empatia e l’origine di questo problema è da ricercare ancora una volta in una pessima sceneggiatura.
Nonostante tutti i suoi difetti il film troverà comunque il suo pubblico, soprattutto grazie ad un’uscita appositamente programmata durante le feste e alla sua capacità di essere veicolo di buoni valori tramite una narrazione semplice (di buonismo ce n’è tanto). Ma indipendentemente dal risultato al botteghino Collateral Beauty resterà uno dei film più sciatti usciti quest’anno ed una delle più grandi delusioni.

VOTO: 4/10