UNA SERIE DI SFORTUNATI EVENTI – La Recensione della Stagione 1

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Di Daniele Ambrosini

“Una serie di sfortunati eventi” è stato uno dei più clamorosi successi editoriali dell’inizio del secolo grazie alla sua formula atipica per una saga di romanzi per ragazzi basata su un’atmosfera tetra ma intrisa di sottile ironia che ha contribuito a far entrare la storia dei tre orfani Baudelaire nel cuore di milioni di lettori. Era impossibile che di fronte ad un tale successo Hollywood non tentasse di mettere le mani sull’opera di Daniel Handler, così nel 2004 esce nei cinema il film Lemony Snicket – una serie di sfortunati eventi con protagonista Jim Carrey. Dopo poco più di 12 anni dal film di Brad Silberling Netflix produce una serie basata sui romanzi firmati Lemony Snicket con protagonista  Neil Patrick Harris.
La storia è ben nota: I tre orfani Violet, Klaus e Sunny Baudelaire ereditano una grande fortuna dai genitori ma in quanto la più grande, Violet, ha solo 14 anni non possono amministrare quella fortuna e nemmeno prendere un soldo finché Violet non sarà maggiorenne. Perciò il Signor Poe, della gestione finanze truffaldine, si occuperà di trovare ai fratelli Baudelaire un parente che svolga la funzione di tutore, come specificato nel testamento; peccato che, per una serie di sfortunati eventi, il loro tutore sia il Conte Olaf, il cui unico scopo è impadronirsi della loro fortuna.
Visto che negli ultimi anni abbiamo assistito a molti “progetti fotocopia” (basti pensare ai due adattamenti di Biancaneve usciti a qualche anno di distanza e a i due Il libro della giungla che saranno separati da solo un anno di distanza quando, nel corso di quest’anno, uscirà l’adattamento di Andy Serkis), viene automatico chiedersi se si sentisse la necessità di un nuova versione della storia dei Baudelaire. E la risposta è sì. Non solo perché la già citata atmosfera dei romanzi, in una certa misura trasposta con successo nel film del 2004, possiede un fascino indiscutibile in grado di creare un cult istantaneo, ma anche perché proprio il film non era riuscito a raccontare la storia pensata da Handler per intero. Infatti all’epoca dell’uscita in sala dovevano ancora essere pubblicati gli ultimi romanzi della saga e, colpevole forse la poca fiducia in un franchise Lemony Snicket, si optò per un film autoconclusivo che trasponeva i primi tre libri della saga utilizzando come finale la chiusura del primo libro, creando così un film gradevole ma non pienamente fedele all’opera originale. 
Netflix è invece pienamente consapevole delle potenzialità di questi libri e della loro trasposizione, tanto da affidarsi in gran parte all’autore dei romanzi, quel Daniel Handler che ha creato Lemony Snicket e le sue storie, che scrive 5 episodi su 8 totali. La prima stagione si basa sui primi 4 libri, infatti ad ogni libro sono dedicati due episodi, in modo da garantire una fedeltà quasi assoluta alla materia d’origine. 1 libro in 2 episodi equivale praticamente a creare un film per ogni libro, così in realtà ogni 2 episodi costituiscono un singolo episodio affidato ad un singolo regista. Si tratta sicuramente di un’approccio originale e pienamente soddisfacente per i lettori che hanno amato i libri ed ora si apprestano a fare altrettanto con la serie.
Se Handler scrive la maggior parte degli episodi, a dirigerne di più è Barry Sonnenfeld – regista di Man in Black e La Famiglia Addams, in sala quest’anno con il disastroso Vita da Gatto – che dirige anche il pilot e fin da subito ci introduce in quel mondo altro, in quell’atmosfera unica che caratterizza “Una serie di sfortunati eventi” dall’inizio alla fine. 

Questa è una serie che fin dalla prima scena gioca sul gusto per il macabro, invitando lo spettatore prima a non guardare nella bellissima sigla e poi lasciando al personaggio di Lemony Snicket (Patrick Warburton) il compito di avvertirci che la storia a cui stiamo per assistere non ha un lieto fine e nemmeno un lieto inizio, e che c’è ben poco di lieto anche nel mezzo. Eppure questo è solo un incentivo in più per guardare, perché possiamo farlo comodamente seduti sul nostro divano senza prendere realmente parte alle disgrazie altrui, e perché la confezione che riveste queste sventure è intrigante ed in grado di attirare la nostra attenzione. Siamo in qualche modo protetti dalla distanza che intercorre tra il nostro mondo e quello al di là dello schermo. Un meccanismo simile interviene per la fruizione della cronaca nera, per esempio. Gli inviti a guardare altro sono frequenti ma servono solo a ricordarci che stiamo guardando un prodotto che sì, è una commedia, ma che tratta argomenti macabri, sventura e morte e lo fa con un’incredibile leggerezza.

L’impressione che si ha guardando Una serie di sfortunati eventi è proprio quella di un leggero distacco che rende più semplice seguire le orribili peripezie a cui sono sottoposti gli orfani Baudalaire. Un distacco ottenuto tramite inquadrature fisse e movimenti di camera precisi, scenografie perfettamente simmetriche e una fotografia grigia, tanto che molti sono giunti a vedere nella serie la fusione tra lo stile di Wes Anderson e le atmosfere di Tim Burton. Contribuiscono a delineare un mondo altro, un universo a se stante anche i deliziosi giochi linguistici, le allitterazioni, le battute ripetute più volte pronte a diventare cult (“Abbiamo tutti età diverse!”) che sono parte di una scrittura fluida e ben strutturata, in grado di mantenere sempre alto l’interesse dello spettatore.

Un discorso a parte merita il Conte Olaf, desinato a diventare un personaggio iconico, che – sebbene il paragone con Jim Carrey sia impossibile anche per la diversa caratterizzazione dei personaggi nei due adattamenti – l’istrionico Neil Patrick Harris interpreta alla perfezione. Da performer e uomo di teatro Harris dona al suo Conte qualcosa in più: una verve unica e perfettamente funzionale; è lui a trainare l’ottimo cast che comprende tra gli altri i giovani e talentuosi Malina Weissman, Louise Hynes e Presley Smith nei panni degli orfani Baudelaire.

Netflix perciò inizia l’anno alla grande, regalandoci un prodotto televisivo di altissima qualità (e che è anche consapevole di esserlo) che già da ora possiamo inscrivere nella lista delle migliori serie del 2017, complice un ottimo ritmo narrativo e una capacità non indifferente di delinaere un universo regolato da logiche interne non sempre immediate, ma soprattutto perché questa serie è intrattenimento di alto livello che non ha paura di prendersi qualche rischio e di giocare con lo spettatore, là dove necessario.
Scommettiamo di rivederla agli Emmy e ai Golden Globe nei prossimi anni, perché una seconda stagione è già stata annunciata ed una terza dovrebbe concludere il ciclo dei romanzi di Handler.


VOTO: 8,5/10