L’altro volto della speranza – La recensione

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Di Daniele Ambrosini

Arriva nei cinema italiani L’altro volto della speranza, il nuovo film del pluripremiato regista finlandese Aki Kaurismaki, accolto con successo alla passata Berlinale dove era uno dei favoriti della vigilia e dalla quale è uscito con l’Orso d’Argento per la regia. Dopo la parentesi francese di Miracolo a Le Havre, Kaurismaki torna nella sua Finlandia per un racconto che parla di Europa.

Wilkstrom è un rappresentante di camicie di Helsinki che decide di dare una svolta alla sua vita lasciando la moglie ed il suo lavoro e puntando tutto prima su una partita a poker, poi su un ristorante. “La Pinta Dorata” è un locale triste e senza clienti, con una cucina scadente che prepara solo un paio di piatti al giorno ma che con la nuova gestione di Wilkstrom tenta di reinventarsi e di attrarre nuovi potenziali clienti. La storia di Wilkstrom si incontrerà ben presto con quella di Khaled, giovane rifugiato siriano giunto in Finlandia su una carboniera dopo una lunga serie di peripezie che richiede asilo allo Stato ed invece riceve aiuto da Wilkstrom e dallo strampalato staff della Pinta Dorata.
“L’altro volto della speranza” non è un film facile da inquadrare: in un primo momento appare alquanto ostico, si mostra come un dramma grottesco a tinte politiche per poi rivelarsi una commedia buffa ed impacciata. Il film propone una serie di personaggi che, tra il verosimile e l’assurdo, agiscono quasi meccanicamente e parlano come svuotati delle proprie emozioni e dell’empatia: insomma ci ritroviamo in un sistema filmico a sé stante paragonabile ad un Wes Anderson di matrice baltica privato della sua verve più irriverente che incontra l’impegno politico proprio di autori come Ken Loach. Forse poco chiaro ed eccessivamente schematico nella prima parte, il film si rifà ampiamente nella seconda parte, quando fuoriesce la reale vena comica: l’umorismo che permea il film è sottile e mai pungente (spesso derivante dalle situazioni più che dai dialoghi), contribuisce a creare nell’intera opera un mood disteso ed un ritmo cadenzato che rende “L’altro volto della speranza” piuttosto piacevole.


Su altri due aspetti Kaurismaki insiste molto: il sottotesto politico e  l’aspetto folkloristico. Khaled è un profugo richiedente asilo in Finlandia, situazione che a noi potrebbe sembrare di per sè un po’ comica poiché la Finlandia non è certo il primo paese a cui pensiamo quando si parla dell’accoglienza dei profughi, e proprio su questa base Kaurismaki riesce ad impostare una riflessione profonda sulle diversità e l’accoglienza nell’ambito di una commedia leggera, che non sarebbe sbagliato definire addirittura “moderata”. La Finlandia, patria di Kaurismaki, è inquadrata come una paese contraddittorio: è allo stesso tempo la terra dell’accoglienza e dell’ostilità. Ad accompagnare buona parte del film c’è anche una colonna sonora travolgente, intrisa di folklore finnico che restituisce alla patria dell’autore una dimensione altra in cui le contraddizioni e le riflessioni politiche si annullano: la musica non accompagna le scene, non è mai semplice sottofondo ma anzi diventa l’elemento principale sullo schermo quando entra in scena; così sia il siriano e curioso Khaled, sia i finlandesi di turno nei bar, sia i gruppi di supremazia bianca possono godere della musica e dimenticarsi per un momento della reale azione scenica.
Tante scelte intelligenti ed originali condiscono un film sicuramente godibile ma che a fronte di uno stile ostico non esprime tutto il suo potenziale, perchè il grottesco ogni tanto rischia di sfociare nel ridicolo e a rendere ancora un po’ meno riuscito il film ci pensano una prima parte sottotono ed un finale non perfetto, sicuramente adatto, ma non del tutto riuscito.

VOTO: 7/10



 


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