David Lynch: ‘Inland Empire’ è il perfetto canto del cigno

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 Di Daniele Ambrosini

La notizia era nell’aria in realtà da molto tempo, quasi 11 anni per la precisione, da quando Inland Empire – L’impero della mente, l’ultimo film di David Lynch è arrivato nelle sale. Da allora anni e anni di niente avevano lasciato presagire un allontanamento di Lynch dal mondo del cinema, intervistato dal Sidney Morning Herald lo stesso regista ha confermato questa ipotesi dichiarando che Inland Empire è di fatto il suo ultimo film.
Le cose sono cambiate molto. Così tanti film non stavano andando bene al box office nonostante potessero essere film grandiosi, e quelli che invece andavano bene al box office non erano cose che avrei voluto fare” Questo quanto dichiarato all’Herald. Non sorprende affatto la decisione di Lynch di abbandonare il mondo del cinema. Basterebbero i suoi ultimi film per capire le motivazioni di Lynch, così come da lui sintetizzate all’Herald. Mulholland drive e Inland Empire sono gli unici film realizzati dal regista dal 2000 in avanti, ed entrambi sono profondamente radicati nella città di Los Angeles e nel mondo di Hollywood. Da entrambe le opere appare evidente il profondo senso di disagio di un regista al di fuori delle logiche hollywoodiane, che le racconta a modo, con uno sguardo unico che ci restituisce un mondo a sè stante, forse più artificioso della realtà stessa, ma non per questo menzognero. Nei film di Lynch, Hollywood è una commistione perfetta di fascino e repulsione. Si avverte un profondo amore per il cinema ed una forte negazione dei compromessi del sistema. Lynch oggi come allora sente il cambiamento all’interno del sistema cinematografico.
I soldi sono l’aspetto meno nobile di un film. Lynch sembra ribadirlo con forza. Sono i soldi ad aver corrotto un sistema nel quale lui non può più lavorare liberamente. Perchè che piaccia o meno Lynch è un artista e senza l’adeguata libertà d’azione ha preferito fermarsi. Come dargli torto? Tra cinema e tv i problemi produttivi nella carriera di Lynch non sono mai mancati: basti pensare alla celebre serie Twin Peaks che la ABC ha spinto in una direzione diversa da quella voluta dal suo autore portando ad una prematura conclusione l’arco narrativo legato all’omicidio di Laura Palmer, segnando definitivamente le sorti dello show; altro esempio è quello di Mulholland drive, inizialmente nato come programma televisivo, poi bocciato dalla ABC che ha preferito non produrre la serie perchè riteneva la trama troppo complessa, il passaggio dal piccolo al grande schermo è avvenuto grazie alla francese Studio Canal che diede a Lynch 7 milioni di dollari per terminare il lavoro iniziato per la tv.
Era il 2006 quando Inland Empire è arrivato al Festival di Venezia, ed a ritiro annunciato questo è destinato a restare l’ultimo film di David Lynch. A conti fatti, non poteva esserci film migliore per chiudere la carriera di un regista tanto complesso. Inland Empire è il perfetto canto del cigno.
Nel 2006 i tempi erano già cambiati, Lynch lo avverte e per questo decide di passare dalla pellicola al digitale. Il suo non è un passaggio indolore, infatti Lynch rinuncia al digitale ultra hd per creare un’immagine più sporca e fredda, priva del calore tipico della pellicola. Il passaggio si deve sentire. Abbandona anche la compostezza e la ricerca delle inquadrature tipica del suo cinema precedente e favorisce riprese con macchine a mano, scomposte e impersonali. Il cinema è cambiato e Lynch con lui, ma il regista non accetta passivamente, contrattacca portando all’estremo il concetto moderno che chiunque con una telecamera digitale possa fare un film. 
Il film è essenzialmente autoprodotto, uno studio non avrebbe mai realizzato un film così ostico e soprattutto così indefinito. Perchè Lynch non ha realizzato un sceneggiatura per il film, arrivava sul set ogni mattina con delle nuove scene da girare, scriveva di getto e poi pian piano metteva insieme i pezzi, non era neanche sicuro di dove il film sarebbe andato a parare alla fine e gli attori stessi non sapevano in cosa fossero coinvolti. Il dato interessante sta proprio nel fatto che attraverso questa esperienza cinematografica alternativa, al di fuori del sistema degli studios, sia nato un film che è una perfetta critica al cinema moderno, ai tempi che cambiano. Perchè Inland Empire inizia come un classico film di Lynch, impostando e portando avanti perfettamente il tema del doppio e la componente onirica tipica delle sue produzioni, per poi diventare metacinema, rompere l’illusione scenica e ricordarci che dopotutto era solo un film. Un gesto che la dice lunga sulle effettive intenzioni di Lynch con Inland Empire che è a tutti gli effetti un perfetto sunto del suo cinema a livello tematico e contutistico ma è anche un’esperienza nuova, un’esperienza ostica a livello personale per Lynch (e visiva per lo spettatore). Un finale come quello di Inland Empire ricorda quello de La Montagna Sacra di Alejandro Jodorowsky, regista non troppo distante dalle corde di Lynch (e che prima di lui aveva messo le mani su quel Dune che si sarebbe poi rivelato la più grande delusione del cinema di Lynch) ribaltandone il significato: per Jodorowsky il gioco metacinematografico serviva a ribadire la magia e la bellezza insita nel cinema, che è continua ricerca della meraviglia, mentre per Lynch serve a veicolare un messaggio di profondo pessimismo. L’illusione scenica è stata rotta, e così si è chiuso non solo Inland Empire ma tutto quello che è venuto prima: la filografia di Lynch ci saluta riportandoci alla realtà. 
Bisogna sottolineare come Lynch non abbia perso fiducia nel mezzo cinematografico, ma solo verso il sistema alla sua base, questo implica che Inland Empire potrebbe essere sì il suo ultimo film per il grande schermo, ma non il suo ultimo lavoro. Lynch tornerà in tv quest’anno con la terza stagione di Twin Peaks, dopo oltre 25 anni dalla fine dello show, e potrebbe essere proprio la tv la sua nuova casa. Lynch ha sempre guardato al mondo della televisione, è stato uno dei primi registi cinematografici a vederla come il luogo adatto per raccontare le sue storie e sull’onda della moderna rivalutazione della tv, che sta catturando sempre più talenti e producendo serie di qualità altissima, non è difficile immaginare che dopo il ritorno a Twin Peaks Lynch possa sviluppare altri progetti. I tempi cambiano e Lynch lo nota, come dicevamo prima, e la tv al momento permette una libertà artistica maggiore del cinema in America, sarebbe perciò una scelta sensata quella di passare definitivamente alla tv (una scelta simile a quella, poi ritratta, di Steven Soderbergh). 

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