Okja – La recensione del film di Bong Joon-ho in concorso a Cannes

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Di Simone Fabriziani

Al secondo film in lingua inglese del coreano Bong Joon-ho viene da chiedersi in che modo riesca a raccontare con lucidità e maestria per la messa in scena tutti gli anfratti e i pericoli insiti nella società occidentale. Seppur con molte riserve, Okja conferma in piena questa sensibilità.


Accolto calorosamente all’ultimo Festival di Cannes ottenendo un plauso equanime da critica e pubblico, Okja è moltissime cose, non tutte però riuscite con il buco. Delicata favola dalle tinte spielberghiane, corrosiva denuncia dei meccanismi della produzione alimentare occidentale, manifesto delirante e a tratti surreale del vegetarianesimo, blockbuster adatto a tutte le età, ma non troppo.

Nonostante le infinite suggestioni e e i momenti memorabili che costellano il film di Bong Joon-ho, Okja non riesce però ad emergere dal minestrone di quello che cerca di voler essere allo stesso tempo; nonostante i pur altisonanti nomi nel cast internazionale di Tilda Swinton (in un doppio ruolo irresistibile), un macchiettistico Jake Gyllenhaal e i giovani Paul Dano e Lily Collins, a smaniare per uscire dalla calca delle ambizioni di Joon-ho è la chiave di lettura meno palese ma forse più significativa: Okja è soprattutto un film sulle traduzioni, sui continui scambi interlinguistici (e quindi interculturali) tra Occidente ed Oriente, tra spietata catena di montaggio alimentare avida e mostruosa, alla riscoperta del contatto con la natura e il rispetto per gli animali. Una prospettiva ed una analisi della società occidentale in cui stiamo vivendo di certo non edulcorata come vuole farci passare il pur tenero super-maiale in CGI Okja. Pasticciato, ma efficace.

VOTO: 7/10


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