Dieci anni dalla nascita di ‘Mad Men’, la serie capolavoro di Matthew Weiner

Di Gabriele La Spina
Serie simbolo della nuova golde age del piccolo schermo, la creatura di Matthew Weiner è più di un semplice prodotto accalappia premi: gli innumerevoli Emmy conquistati dalla serie fin dal suo lontano debutto nel 2007, non dovrebbero sollevare dubbi sulla considerazione forse eccessiva da parte della critica per la serie, sono la testimonianza dell’altissima qualità di un racconto dalle numerose letture.

Nel corso delle sue sette stagioni Mad Men ha attraversato i momenti cruciali dell’America degli anni ’60. La generazione di Kennedy, Marilyn e della TV a colori, sempre più votata alla cultura popolare e alla globalizzazione, per cui quali migliori personaggi se non un gruppo di pubblicitari di New York per raccontare quell’America?
Il protagonista di Mad Men è Donald Draper, un uomo che ha tutto quello che un uomo potrebbe desiderare: una moglie bella, devota e fedele, due figli immacolati che lo adorano, un’occupazione di prim’ordine come direttore creativo di una rinomata agenzia di pubblicità e uno stuolo di amanti, con cui riempire le pause di lavoro. Come se non bastasse, i suoi capi, Roger Sterling e Bertram Cooper, gli permettono di soddisfare ogni capriccio dal momento che l’agenzia dipende dalle sue geniali intuizioni. Ma la vita da direttore creativo non è affatto facile e tra Peter Campbell, un copywriter restio a farsi comandare e Peggy Olson, nuova segretaria alle prime armi, le giornate in ufficio passano con non pochi problemi. Ecco che allora, lentamente, il perfetto ma fragile equilibrio fatto di bugie e silenzi su cui si basa l’intera esistenza di Don comincia ad incrinarsi, rivelando tutto il marcio nascosto sotto la patina di apparente perfezione. Inizia dunque l’inevitabile caduta che, attraverso sette stagioni, permetterà di osservare l’autodistruzione di un uomo.
Quello di Don, interpretato da un inespugnabile Jon Hamm, è probabilmente uno dei personaggi più complessi mai visti in una serie televisiva. Anti eroe per eccellenza, è la rappresentazione dell’americano medio, in tutte le sue contraddizioni, insicurezze e menzogne. Come un cavaliere errante è in continua ricerca della sua dimensione, un’equilibrio che riesce a far suo soltanto alla fine di questo emozionante viaggio televisivo. 
Largo spazio viene dato tuttavia anche ai personaggi femminile, che rappresentano una grossa fetta dei racconti di Mad Men, i personaggi di Peggy e Joan, interpretate da Elisabeth Olsen e Christina Hendricks, sono più di tutte l’emblema dell’evoluzione della figura femminile nella società americana degli anni ’60. Da semplici segretarie le due diventano verso le ultime stagioni, copywriter e socia dello studio, esprimendo un potenziale prima soffocato dalla presenza maschile. In Mad Men nessun personaggio viene inserito per caso, ognuno dei suoi interpreti è cosciente di dare vita a un importante ingranaggio di un dramma abilmente orchestrato.
Carica di enorme malinconia, è stata una serie molte volte definita stylish poiché, non solo un gioiello visivo nel comparto dei trucchi e dei costumi, ma anche dalla forte e prominente estetica. Pochissime altre serie dopo Mad Men sono riuscite a raggiungere la medesima eccellenza visiva ma soprattutto narrativa. La solidità degli episodi della serie di Weiner è invidiabile anche dalle più grandi produzioni Hollywoodiane.
È stato un prodotto che ha probabilmente contribuito alla rinascita del piccolo schermo, dimostrando che l’eccellenza registica, ma anche di scrittura e attoriale, ha ancora più ragione di esistere nella televisione, soprattutto in una serie che ha racchiuso in sé l’evoluzione di una società mostrandone i retroscena, trasformando lo spettatore in voyeur, che sbircia attraverso una parete l’interno di quelle vite apparentemente perfette. Ma come di fronte a un quadro di Edward Hopper, resta affascinato e si innamora della falsa bellezza dei protagonisti.

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