Fino all’osso – La recensione

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 Di Daniele Ambrosini

Netflix da un paio d’anni a questa parte ha accostato alla produzione seriale anche quella cinematografica, con risultati più o meno soddisfacenti e, dopo la recente polemica di Cannes, i riflettori sono puntati prorpio sui film Neflix, da molti tacciati di essere meri film televisivi. Bisogna dire che la produzione originale di film di Netflix è piuttosto variegata e punta un pubblico quanto più vasto possibile, per questo a film di alto profilo come Beasts of No Nation e Okja si accostano film disastrosi come The Ridiculous 6. Dal 14 Luglio è disponibile sulla piattaforma streaming Fino all’osso, un film che va ad aggiungersi a questa variegata offerta e che nonostante qualche passo falso è un film piuttosto gradevole, dal sapore indipendente e dalle tematiche forti ed attuali.

Lily Collins interpreta Ellen, una ragazza anoressica che dopo essere stata in un centro di recupero senza ottenere risultati torna nella casa del padre assente e della sua seconda moglie, la madre si è trasferita a Phoenix con la sua compagnia e non può prendersi cura di lei al momento. Il padre non riesce mai a vederlo, sembra che la eviti, ma in quella casa si trova bene perchè insieme a lei c’è la sorellastra Kelly, alla quale è molto legata. Dopo qualche giorno la matrigna riesce ad ottenere un appuntamento dal dottor William Beckham uno degli specialisti migliori del paese che accetta di aiutarla a patto che voglia essere aiutata e che accetti un ricovero di minimo sei settimane. Così Ellen si allontana di nuovo da casa per andare in questa comunità, dove vivono sette persone con disturbi alimentari ed un’infermiera e dove ogni giorno ricevono visite da una una psicologa e dal dottor Beckham. Qui Ellen ha modo di indagare nel proprio passato e di fare nuove conoscenze, su tutte quella con l’eccentrico ballerino Luke, affetto da scompensi alimentari da quando il suo ginocchio malandato non gli ha più permesso di gareggiare.

Trattando un tema delicato come quello dei disordini alimentari, il film rischiava di diventare un ritratto buonista pieno di clichè, ma per fortuna la regista e sceneggiatrice Marti Noxon fa un lavoro piuttosto buono nel ritrarre con equilibrio prima di tutto dei personaggi, e non la loro condizione. Si cercano delle motivazioni e si combatte l’ostinazione per quasi tutta la durata del film ma nel frattempo si vive, perchè “Fino all’osso” è innanzitutto un film che parla dell’essere vivi e del darsi una seconda possibilità. La messa in scena della malattia è curata e comprende molti elementi di solito trascurati in film che trattano solo superficialmente l’argomento, riuscendo a restituire appieno l’esperienza della protagonista ed il suo percorso. Lily Collins poi è bravissima a sostenere un ruolo così delicato, la sua Ellen è sensibile ma allo stesso tempo sfrontata, sarcastica ma vulnerabile; ad affinacarla un cast di supporto di tutto rispetto nel quale spicca su tutti Alex Sharp, che al suo secondo film si conferma una delle nuove leve più interessanti di Hollywood, il suo è sicuramente un nome da tenere d’occhio.
“Fino all’osso” è un film piuttosto accurato e ben bilanciato, che nonostante il tema socialmente importante riesce a raccontare con equilibrio, senza mai cadere nella mera commiserazione dei suoi personaggi e senza mai calcare troppo la mano. Il film è molto gradevole per la quasi totalità del tempo ma non è esente da difetti: ad una prima parte un po’ lenta e qualche dialogo non perfettamente riuscito, si accosta una parte finale scontata ed un po’ pretenziosa per via dell’inaspettato inserimento di un simbolismo elementare che ha il compito di introdurre la scontatissima ultima scena che, ovviamente, rappresenta la redenzione della protagonista. Il film quindi si conclude con un messaggio di speranza che sembrava essere quasi obbligatorio, ma che messo in questi termini è fin troppo didascalico. Peccato, perché, nonostante sia un buon film, “Fino all’osso” aveva tutte le carte in regola per essere migliore di così, ma il finale finisce (quasi) per rovinare quanto di buono fatto fino a quel momento perché non ha il coraggio di tentare una soluzione più coraggiosa.

VOTO: 7/10


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