Venezia 74: Foxtrot – La recensione

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Di Daniele Ambrosini

Foxtrot era un film particolarmente atteso alla vigilia della settantaquattresima edizione del festival di Venezia, un po’ per il tema quanto mai attuale del conflitto israelo-palestinese, un po’ perché l’opera precedente di Samuel Maoz, Lebanon, aveva conquistato il Leone d’Oro nel 2009. Riuscirà Maoz a bissare la sua vittoria al Lido? L’esperienza ci dice che le preferenze delle giurie sono imprevedibili, ma Foxtrot, pur essendo un film molto altalenante e poco risolutivo, è stato accolto molto bene al Lido, perciò resta uno dei favoriti della vigilia.

Michael e Dafna sono i genitori di Jonathan, soldato poco più che adolescente, arruolatosi solo recentemente e finito a controllare un posto di blocco nel nord d’Israele. Un giorno la coppia viene informata che il loro amato figlio è stato ucciso servendo il suo paese, questo è ovviamente causa di molto dolore e di tanta rabbia. Rabbia che non può che crescere quando vengono poi informati che Jonathan è in realtà vivo e vegeto. Il soldato morto era un omonimo, si era trattato di uno spiacevole malinteso. Dopo questo prologo, Maoz si sposta a quel posto di blocco, dove Jonathan ed altri tre giovanissimi soldati trascorrono le loro giornate. Pochissime macchine passano per quello sperduto posto di blocco ed ognuna sembra portare con sé una storia, sempre solo accennata che però aiuta a colorare le sempre più grigie giornate in mezzo al deserto. A fare loro compagnia solo un cammello, che passeggia tra una parte e l’altra della transenna controllata dai giovani, come se niente fosse. Per Maoz questa è l’occasione per concentrarsi su uno spaccato di vita realistico e narrativamente (oltre che politicamente) molto interessante, peccato che poi l’epilogo sia nuovamente affidato alla famiglia di Jonathan.

Il foxtrot è un ballo che prevede che dopo qualche mossa si torni alla posizione iniziale, per poi ricominciare e ripetere gli stessi movimenti ancora e ancora. Così il foxtrot diventa una ingegnosa allegoria della vita di Michael, il vero protagonista del film, ma al contempo anche del film stesso. Infatti Foxtrot si conclude dove era iniziato, dentro le mura della casa di Michael e Dafna, mentre nello svolgimento si sposta per raccontare la storia di Jonathan e della sua squadra. A livello strutturale si tratta di una trovata piuttosto interessante, che avrebbe potuto dare al film un respiro più ampio ed offrire uno spaccato di vita più completo e permeante. Il condizionale è d’obbligo perchè purtroppo il prologo e l’epilogo non sono minimamente all’altezza della parte centrale della pellicola, anzi è del tutto diversa persino l’impostazione: basti pensare che la sezione dedicata alla squadra di Jonathan è dedicata, per l’appunto, alla sua squadra e non al figlio di Michael e Dafna nello specifico, rendendo forzato il collegamento tra le parti che compongono il film, infatti si passa da un’impostazione corale ad una completamente opposta, dove a fare da padroni sono i due coniugi e la loro sofferenza. C’è da aggiungere che anche la scrittura ricalca pesantemente questo stacco qualitativo tra le due parti che compongono il film, infatti la sezione ambientata a casa di Michael è verbosissima, piena di clichè ed inutilmente retorica, mentre la sezione ambientata al posto di blocco è più bilanciata nei dialoghi e lascia alla componente visiva un maggiore ruolo descrittivo e di caratterizzazione dei personaggi. Insomma si tratta di un film nettamente bipartirto, il problema è che una metà del film funziona molto bene nonostante una regia in molti frangenti eccessivamente manieristica (le abusate riprese aeree, i movimenti di camera in situazioni insospettabili) ed una scrittura non perfetta ed inutilmente piena di fronzoli, mentre l’altra metà ha del disastroso. A peggiorare il tutto degli inserti comici – che a volte sono di cattivo gusto, mentre altre volte si tocca proprio la comicità involontaria – e la convinzione che mostrare da subito  e ed in continuazione la sofferenza dei personaggi possa creare empatia anziché fastidio. Quello che ne resta è un mezzo disastro che però aveva del buon potenziale. 

VOTO: 5/10


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