Blade Runner 2049 – La recensione del sequel capolavoro di Denis Villeneuve

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Di Simone Fabriziani

Blade Runner 2049 è un film ingestibile.
Ingestibile da assaporare, digerire, comprendere in sollo colpo d’occhio, in una sola visione. Una singola visione che però che conferma lo straordinario talento nella mise en scene visiva del regista canadese Denis Villeneuve, novello maestro della sci-fi contemporanea dopo il successo omogeneo dello scorso anno con il seminale Arrival.

Nell’impossibilità di contenere in un solo testo a mente ancora calda le innumerevoli suggestioni e filosoferie del sequel del cult del 1982, la nostra sarà una recensione “di pancia”, inesatta e calorosa,  non priva di imperfezioni ma irripetibile, proprio come lo è stato “Blade Runner 2049”.

2049. Incaricato di recuperare un vecchio modello di replicante, l’ufficiale K (Ryan Gosling), un blade runner appartenente alla polizia di Los Angeles, riporta in luce un segreto a lungo sepolto che ha il potenziale di far precipitare nel caos ciò che è rimasto della società. La scoperta lo porta a dover scovare Rick Deckard (Harrison Ford), un ex blade runner scomparso da trent’anni. Partendo da questo incipit stimolante si snodano 163 minuti strabordanti, algidi, visualmente sontuosi, sorprendentemente assorti. Perchè badate bene, in fin dei conti Blade Runner 2049 non è un film d’azione.

E non è nemmeno l’operazione nostalgia che ci si aspettava al momento dell’annuncio del temuto progetto, avallato comunque in veste di produttore esecutivo da Ridley Scott; d’altronde Villenueve lo aveva già ampiamente ribadito le scorse settimane di come il film originale del 1982 lo avesse fatto innamorare del cinema e lo avesse spinto a diventare regista; ma questo è un film, forse per fortuna, totalmente asservito alla lirica personale di Villeneuve. Inizialmente tradizionale film investigativo sulla falsariga del capitolo cult di Scott, “Blade Runner 2049” si trasforma lentamente in una profonda riflessione sull’eredità e sull’accettazione dei propri corpi e dei propri destini; se nel capolavoro di Ridley Scott l’agente Rick Deckard era invischiato nella ricerca di ciò che era reale a cavallo tra detective stoy da noir da manuale e onirismo, qui Villeneuve proietta l’agente K in una graduale e assorta ricerca di una verità capace di distruggere la serrata catena sociale di una America futuristicamente in macerie dalle fondamenta: cosa accadrebbe se i replicanti fossero in grado di procreare?

Narrativamente giocato sul dialogo, sulle suggestioni visive e poco sull’azione pure et dure Blade Runner 2049 è il capolavoro miracoloso di un sequel aggiornato alla sensibilità paterna di un cineasta che omaggia il cult degli anni ’80 proiettandolo con urgenza e passione per il mezzo della macchina da presa nella contemporaneità. Capolavoro di lirica bellezza (e la direzione della fotografia di Roger Deakins è da manuale del cinema), di corpi in trasformazione, di assorti silenzi, di assordante poesia, il sequel di Denis Villeneuve è forse, più che la continuazione di un universo nato dalle parole stampate di Philip K.Dick e dal genio visivo di Scott, il testamento appassionato ed imperfetto del perché il regista di Arrival regala da alcuni anni alle platee di tutto il mondo cinema allo stato puro con con la C maiuscola. Impreciso forse nella scrittura, ma straborddante esperienza sul grande schermo da riempire occhi e cuore. Di umani e replicanti.

VOTO: 8,5/10



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