Thor: Ragnarok – La recensione del terzo capitolo dedicato al dio del tuono targato Marvel

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Di Simone Fabriziani

Il prossimo anno con il debutto di Avengers: Infinity War – Parte I  saranno dieci anni dall’inizio glorioso dell’Universo espanso targato Marvel; tutto è iniziato dalla emblematica scena post-crediti di Iron Man nel 2008 quando il reclutamento dei Vendicatori del pianeta Terra è cominciato grazie alla ferrea visione di Nick Fury. Di acqua ne è passata sotto i ponti nel frattempo, così come si è consolidato ulteriormente il target del Marvel Expansed Universe.


Ci appare dunque sterile a nove anni di distanza dall’avvio del progetto cinematografico condiviso preoccuparsi dell’atavico problema dell’humor e della diffusa ironia tra i personaggi e i contesti supereroistici; la terza fase in corso iniziata dalle ceneri del fallimentare Avengers: Age of Ultron ha permesso al regista e sceneggiatore Joss Whedon di allontanarsi dal progetto Marvel e lasciare la nuova impronta a James Gunn, autore dei dei titoli di straordinario successo globale de I guardiani della galassia. Il giovane regista neozelandese Taika Waititi segue fedelmente le orme di Gunn nella realizzazione di un affresco conclusivo ad una non troppo fortunata trilogia dedicata al Dio del tuono che raggiunge, nel bene e nel male, il suo apice in Thor: Ragnarok.


Thor viene imprigionato dall’altra parte dell’universo senza il suo potente martello e si ritrova impegnato in una corsa contro il tempo per tornare ad Asgard e fermare la distruzione del pianeta per mano di un nuovo nemico, la spietata Hela. Prima di riuscirci, dovrà però sopravvivere a una gara tra gladiatori in cui sarà contrapposto all’ex alleato Hulk.
In bilico tra epopea norrena e humor slapstick, il film diretto da Waititi è pura esagerazione cosciente: cosciente di sé stessa e dei suoi limiti, ma anche perfettamente consapevole di essere il primo titolo del progetto Marvel ad uscire nelle sale di tutto i mondo dopo lo scossone di Gunn e il suo sequel Guardiani della galassia Vol.2, un tripudio equilibratissimo tra cuore, azione pura e ritmo scanzonato; Waititi però non è Gunn.

Nonostante un gran cast capitanato dal sempre più ironico Chris Hemsworth e composta da nomi del calibro di Tom Hiddleston, Mark Ruffalo, Cate Blanchett, Anthony Hopkins, Idris Elba, Jeff Goldblum e Tessa Thompson, “Thor: Ragnarok”è fin troppo il palese prodotto figlio del nuovo linguaggio demenziale (in senso più che buono) codificato dai due film di Gunn; dimenticate la tetraggine dei primi due capitoli di Thor diretti da Kenneth Branagh e Alan Taylor, qui si naviga attraverso un mix esplosivo tra comicità iperbolica e momenti di pura epica tamarra e debitrice di suggestioni e topoi narrativi appartenenti ai racconti dell’epica anglosassone portati sul grande (e piccolo) schermo nel nuovo millennio.
Esageratamente furioso ed implacabilmente divertente, Thor: Ragnarok è il giusto compromesso tra un’evoluzione inaspettata per il Dio del tuono in attesa del gran finale di “Infinity War” (e non mancheranno i colpi di scena) e il nuovo linguaggio della comicità dettato da Gunn, anima e corpo incorporeo di quella che caratterizzerà, con molta probabilità, anche la quarta fase. Che non è detto che sia poi una brutta cosa.

VOTO: 7/10