American Horror Story: Cult 7×10 “Charles (Manson) in Charge” – La recensione

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Di Edoardo Intonti

Una ventata d’aria “vagamente fresca”, dopo il grande sbadiglio della scorsa settimana, che aveva fatto da preambolo per quello che dovrebbe essere il gran finale di questa settima stagione.
Da subito l’episodio dà la sensazione di una ritrovata superiorità registica e narrativa (grazie probabilmente al ritorno del regista del  pilot e al team di scrittori Murphy/Falchuk) aprendo su un interessante dialogo tra Kai e quella che scopriamo essere stata la prima istigatrice del leader che oggi conosciamo: Bebe Babbitt, interpretata magistralmente da Frances Conroy.
Mettendo da parte le ormai indispensabili incongruenze della trama, veniamo ri-catapultati in una narrazione meta-politica, dove, come promesso dalla sigla, vengono riprese le perplessità del popolo americano di fronte ai due candidati delle scorse elezioni. 
Pare quasi che l’intero episodio potesse dare materiale per le altre due serie gestite da Murphy&co: Feud e American Crime Story: infatti, oltre la diatriba tra i due candidati, assistiamo ai tragici omicidi della Manson Family: da sempre oggetto del desiderio da parte di Murphy  ( che in teoria voleva costruire un’intera stagione solo su di loro, ipotesi poi scartata forse nell’ipotesi appunto di American Crime Story) adesso nuovamente sotto i riflettori del mondo visto che sarà al centro del prossimo progetto di Quentin Tarantino.
Eppure, snocciolare in qualche minuto quello che è potenzialmente uno degli eventi più traumatici della cultura americana (l’omicidio di Sharon Tate), è quasi sbrigativo e snervante, e a nulla serve rivedere poco dopo lo stesso Mason interpretato dallo stesso Evan Peters (per la medesima volta in questa stagione con addosso un parruccone), risulta comunque una storyline sprecata e che volendo avrebbe potuto ricoprire un arco maggiore della stagione.
Oltre alla morte del personaggio di Chaz Bono (chi?), secondo membro del culto a sacrificarsi quasi spontaneamente, un cammeo dimenticabile del fratello/psichiatra, l’episodio culmina con l’uccisione tragica di Winter ad opera dello stesso Kai: ormai burattino nelle mani di Ally e del suo piano per distruggere dall’interno il Culto (grazie anche probabilmente all’aiuto di Beverly Hope e dell’ultimo arrivato: Speedwagon).
Non essendoci ormai tante alternative all’ecatombe completa (finale un po troppo ripetuto), non c’è molto su cui riflettere o complottare.
Viene invece da chiedersi se il risultato deludente (largamente positivo per una serie del genere, ma sottotono se parliamo del brand di AHS) sia ancora una volta da attribuire alla molteplicità di autori e registi coinvolti, che rendendo  teoricamente la serie un prodotto commerciale e idealmente fruibile per il grande pubblico (alla How to get away with murder, o This is Us per intenderci), ma che nella pratica ha ricevuto gli ascolti più bassi  di sempre.
La soluzione forse sarebbe nel modello della prima stagione di True Detective: dove tutti gli episodi erano scritti e diretti dallo stesso duo (Nic Pizzolatto e Cary Fukunaga), non rischiando di incappare incongruenze o di piattume registico.

VOTO: 7.5/10

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