Roma 2017: Valley of Shadows – La recensione del film di Jonas Matzow Gulbrandsen

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Di Simone Fabriziani


Aslak è un bambino di dieci anni che lotta per superare la perdita del problematico fratello maggiore. Lasciato da solo con una madre single devastata dal dolore, Aslak non ha la capacità di affrontare ciò che sta succedendo sia nella sua vita sia nella zona in cui vive, teatro di alcuni strani accadimenti. Qualcosa sta infatti attaccando tutte le pecore e, mentre i contadini sospettano si tratti di un lupo, i bambini credono che sia opera di qualcosa di più sinistro. Aslak decide allora di avventurarsi tra i boschi per trovare le misteriose creature. Partendo da premesse suggestive ed ambizioni da coming-of-age story, il dramma diretto da Jonas Matzow Gulbrandsen  approda alla Festa del Cinema di Roma ma non convince appieno.

Sfruttando le infinite risorse dei freddi paesaggi norvegesi Gulbrandsen confeziona una storia di crescita e di passaggio dall’infanzia all’adolescenza fatta di silenzi, sospiri, parole sussurrate e grida di dolore distanti ma allo stesso tempo così vicine; il dolore interiorizzato del piccolo Aslak esplode con il primo atto di ribellione verso l’insostenibile ed indescrivibile dolore della perdita del fratello maggiore; entrare nella misteriosa e brumosa foresta al confine con l’ultimo caseggiato per andare a ritrovare il cane fuggito è dunque la metafora di un passaggio di consapevolezza di sé e del proprio essere necessario per il piccolo protagonista.

Valley of Shadows diventa così un viaggio intertestuale dove il bosco , carico di suggestioni ed allusioni allegoriche e metaforiche, si trasforma in potente strumento narrativo capace di trasportare il piccolo Aslak dall’età dell’incoscienza a quella della piena consapevolezza della vita. Musicato magistralmente dal compositore polacco Zbigniew Preisner.
Una delicata ed allegorica riflessione sulla perdita e sul passaggio di età.

VOTO: 7/10

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