Ghost Stories – La recensione dell’horror psicologico con Martin Freeman

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Di Simone Fabriziani

Il professor Phillip Goodman vede il suo scetticismo messo alla prova quando si imbatte in un documento a lungo perduto su tre terrificanti casi di presenze soprannaturali. Scosso da ciò che legge, si imbarca in una missione tesa a trovare soluzioni razionali imbattendosi in tre individui tormentati, ognuno con un racconto più spaventoso, sconcertante e inspiegabile dell’altro. Mentre indaga sulle loro storie, Goodman vede il suo mondo razionale cominciare a dissolversi e inizia a dubitare di ogni sua certezza. Tra verità, superstizioni e meta-narrazione, il notevole Ghost Stories approda nelle sale italiane a partire dal 19 aprile grazie a Adler Entertainment. Ed è imperdibile.

Lo è perché il film scritto e diretto da Jeremy Dyson e Andy Nyman (qui anche protagonista in veste di interprete maggiore) cerca in maniera duplice di riprodurre atmosfere e stilemi dell’horror che tanto ha reso celebre la tradizione del genere britannico della Hammer Films, senza però dimenticare un discorso meta-cinematografico e narrativo che non solo omaggia e gioca con lo stesso horror e i suoi elementi, ma lo capovolge e lo (ri)pensa, proponendo allo spettatore poco preparato una visione stimolante ed inedita.

Se il protagonista spesso e volentieri scaccia dalla mente pensieri legati alla presenza ed esistenza stessa del mondo soprannaturale etichettandolo senza mezzi termini come impossibile da provare perché frutto di ciò che la mente suggestionabile e sotto stress vuol vedere, lo stesso trattamento lo riceve in modo originale ed efficace lo spettatore; ingannato nel trovarsi di fronte un divertito omaggio agli stilemi narrativi dell’horror post-moderno tutto sommato non privo di un rozzo mordente da jump scare, chi visionerà la pellicola di Dyson e Nyman scoprirà invece una delle chicche cinematografiche più genuinamente sorprendenti degli ultimi anni. Un film che, oltre a vantare un ottimo cast di comprimari formato anche da Martin Freeman, Alex Lawther e Paul Whitehouse, ha il coraggio di rovesciare a tutti gli effetti non solo le credenze del suo protagonista ma dell’audience stessa firmando un intelligente discorso cinematografico sulla natura e sui tropoi del genere horror che speriamo verrà ricordato negli anni a venire.
Sorprendente viaggio all’interno di una mente spezzata dal sapore prettamente british.

VOTO: 8/10



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