The Rain – La recensione dei primi tre episodi della serie Netflix

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Di Gabriele La Spina

Un inizio da coming of age dei più tipici, una canzone pop delle più leggere, e il luminoso corridoio di una scuola danese, ci introduce ai giovani protagonisti di The Rain. Per loro si prospetta un importante progetto scolastico, la situazione delle più tipiche per un adolescente, ma tutto viene interrotto bruscamente, tagliando l’ironica e candita realtà, con l’arrivo dello scosso padre della protagonista.

È così che da Lady Bird si tramuta ne I figli degli uomini, capolavoro sci-fi di Alfonso Cuaron, ma non abbiamo qui difronte la storia di un’umanità preda dell’infertilità, tutto si collega a una pioggia, un misterioso evento climatico che tramuta le persone in esseri violenti. Simone, è il personaggio su cui è incentrato l’episodio pilota, lasciata dal padre in un lussuoso bunker e sollecitata a difendere il fratello minore, chiave e probabilmente soluzione al male dilagante, nella più didascalica delle linee dello script. Passano anni dentro quel bunker, tra comunicazioni disturbate con altri bunker collegati, e dei flashback che lasciano presagire di un’organizzazione artefice della catastrofe. I due protagonisti crescono, e fanno di quello spazio la loro casa, fin quando non saranno costretti a fare i conti con la realtà dell’esterno, e con un mondo diverso da ciò che ricordavano. 
The Rain è soltanto una delle molteplici serie non americane prodotte da Netflix. Successi recenti solo quelli di Dark e La casa di carta, e tanto quanto le due citate la suddetta serie vive nell’ombra di esempi ben più riusciti del suo stesso genere. L’ombra del vecchio continente non sembra sfuggire alla serie, adagiata su numerosi dei più vecchi stereotipi abbandonati fortunatamente dalla produzione americana dalla televisione anni ’90. Abbiamo avuto diversi esempi di serie survivor horror negli ultimi anni, su tutte, The Walking Dead, adattamento della serie di fumetti, purtroppo dalla qualità sempre più discendente, ma artefice di brillanti prime stagioni dove la psicologia dei personaggi, le loro azioni e il loro passato, avevano più rilevanza delle stesse dinamiche di sopravvivenza contro orde di zombi. Allo stesso modo vorrebbe agire The Rain, che al contrario perde di credibilità e valenza quando i suoi protagonisti sono quasi interamente adolescenti, in un non molto lontano futuro post-apocalittico
Con i suoi primi episodi The Rain getta le basi per un racconto diramato e ambizioso, dall’ottima atmosfera, ma che non brilla nella qualità di scrittura e nella regia su livelli standard. Dall’epicentro narrativo rappresentato dai due fratelli, Simone e Rasmus, la storia si dirama nei traumi e nell’esperienza di ogni adolescente del gruppo, le cui famiglie sono tutte cadute vittime della pioggia. Non manca la capacità di saper citare, emulare e rappresentare al meglio con un buon budget alle spalle, eppure, difetto riscontrabile in diverse altre produzioni europee Netflix, la più imponente mancanza è quella di personalità. Manca il guizzo di unicità che contraddistingue i successi del piccolo schermo negli ultimi anni, poiché un titolo accattivante e un mezzo di distribuzione potente come Netflix spesso non basta, là dove vi è l’assenza di audacia. 

VOTO: 6/10



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