Roma 2018: Hot Summer Nights – La recensione del film con Timothée Chalamet

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Di Daniele Ambrosini

Hot Summer Nights è un film dall’animo ribelle. L’esordiente Elijah Bynum costruisce e disfa il suo film a proprio piacimento, cambia costantemente il ritmo ed il focus della narrazione, imposta intere sezioni del suo film su codici e generi cinematografici diversi. Sostanzialmente, osa molto. Il risultato è un film schizofrenico, riuscito a metà. 

Daniel Middleton è un teenager introverso e problematico che dopo la morte del padre si è completamente chiuso in sé stesso, la madre decide così di fargli trascorrere l’estate dalla zia a Cape Cod. Era l’estate del 1991, e quell’anno la località marittima fu colpita da una violenta tempesta che la distrusse quasi completamente, ma prima che questo accadesse Daniel ebbe modo di trascorrere il più movimentato ed indimenticabile periodo della sua vita. Dopo aver conosciuto Hunter Strawberry, piccolo criminale e spacciatore della zona, decide di volersi mettere in affari con lui. I due mettono su un fruttuoso giro di distribuzione di marijuana grazie all’aiuto di un pezzo grosso. Quella stessa estate Daniel conosce McKayla, ragazza ammirata da tutti ed incredibilmente sfuggente, della quale si innamora follemente. La sua voglia di spingersi sempre oltre, però, lo metterà nei guai.
A metà tra un crime noir e love story adolescenziale, Hot Summer Nights, non trova mai il giusto equilibrio narrativo. Bynum decide di impostare il suo film sul tema della droga in un primo momento, per poi dedicare tutta la parte centrale del suo film alla relazione tra Daniel e McKayla, per poi abbandonarla e tornare di nuovo a parlare del mondo criminale nel finale, finendo per non riuscire ad essere particolarmente incisivo in nessuno dei due filoni narrativi, poco amalgamati in un insieme unitario. Perché Hot Summer Night manca di una visione d’insieme della sua storia. Impostando il suo film, come un flusso di coscienza, Bynum finisce per realizzare un’opera frammentaria, che salta a piè pari intere sezioni della sua storia (cosa succeda dal momento in cui Daniel decide di mettersi in affari a quando diventa ricchissimo non ci è dato saperlo) per concentrarsi su singoli eventi significativi, ai quali il regista concede molto (a volte troppo) tempo, che spesso spezzano il ritmo piuttosto vivace che la pellicola aspira ad avere. Brusche accelerazioni di ritmo e lunghe digressioni narrative si alternano senza soluzione di continuità. Per di più, anche la caratterizzazione dei personaggi lascia un po’ a desiderare – il rapporto con i genitori può essere davvero una giustificazione per ogni cosa?
Hot Summer Nights è un film ribelle, quasi punk, in cui il coraggio e la volontà di osare non sempre pagano, un film esuberante, strabordante, fuori controllo e tutto fuorché perfetto, eppure così fuori di testa da risultare adorabile, così ambizioso e genuinamente incoerente che, tutto sommato, è impossibile non non seguirlo con interesse fino alla fine. Ci sono evidenti problemi in fase di sceneggiatura, è vero, ma allo stesso tempo bisogna ammettere che c’è anche del buono in Hot Summer Nights. Infatti, pur dovendo ancora affinare le sue doti di narratore, Bynum fa un’ottimo lavoro come regista, dimostrando un gusto per l’immagine impeccabile, che visivamente ci trasporta di peso negli anni ’90; il suo non sarà un esordio coi fiocchi, ma è un buon primo passo. Ad impreziosire il tutto ci sono un eccellente Timothèe Chalamet, nei panni del bad boy per caso, e una ritrovata Maika Monroe, che dopo It Follows torna a brillare. I loro personaggi non saranno adeguatamente approfonditi, ma quelle poche volte che Bynum decide di concentrarsi su di loro il risultato sono scene cariche di tensione erotica, costruite ad arte; se il film fosse stato in grado di mantenere costantemente quella stessa vibrante energia, all’interno di un insieme coerente ed omogeneo, i risultati sarebbero stati ben altri.
VOTO: 6/10