Amburgo, inverno 1946. L’ufficiale dell’esercito britannico Lewis Morgan (Jason Clarke), incaricato di ricostruire la città distrutta dall’incendio del ‘43, si ricongiunge con la moglie Rachael (Keira Knightley) e insieme vanno ad abitare nella dimora dell’architetto tedesco Stefan Lubert (Alexander Skarsgard), vedovo e con una figlia adolescente, Frieda; Lewis prende la decisione di non abbandonare il precedente proprietario in difficoltà, dando così inizio a una convivenza che, nonostante una burrascosa partenza, porterà alla nascita di un sentimento tra Rachael e Stefan, i quali scopriranno di condividere similari ferite: le conseguenze della devastante seconda guerra mondiale.
Seppur funzioni il parallelismo tra le devastazioni fisiche della città e quelle personali dei protagonisti, la sceneggiatura di The Aftermath, titolo diretto da James Kent e tratto dall’omonimo romanzo di Rhidian Brook (co-sceneggiatore del film), soffre dello sbilanciamento tra i due elementi e per l’eccessivo e irrimediabile cambio di tono, da intrigante a più soffice; la buona ricostruzione della Germania devastata, elemento storico della vicenda, viene quindi progressivamente messa in disparte a favore dell’intimità che trasforma la storicità in un melodramma con al centro la relazione clandestina, non innovativo, esteticamente vicino al dramma hollywoodiano classico, e a volte poco plausibile da un punto di vista narrativo.
La capacità del solido cast è innegabile e la costruzione dei personaggi è indubbiamente a tutto tondo, seppur ve ne siano alcuni non abbastanza approfonditi, ma sentivamo davvero il bisogno di un’altra prova in costume della Knightley e di rivedere Clarke nella Germania degli anni ’40, seppur tra i vincitori e non tra i vinti? Forse si, però solamente se si è fan del genere.
Che poi il discorso tra vincitori e vinti è proprio uno dei più importanti temi che il film vuole affrontare: La conseguenza ci ricorda che tale suddivisione non sussiste veramente perché alla fine di una guerra chiunque ne esce stravolto, devastato; questo se da una parte divide dall’altra può perfino creare legami nuovi e portare a una rinascita, affrontata qui purtroppo in una maniera eccessivamente romanzesca che non abbastanza fa appello alle nostre coscienze di spettatori, passivi ancora una volta davanti alla storia (anzi, alle storie: sia quella con la minuscola che quella con la maiuscola).
VOTO: 5,5/10