Hellboy – La recensione del reboot di Neil Marshall con David Harbour

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Di Dario Ghezzi

Hellboy è il migliore agente del BPRD (Bureau for Paranormal Research and Defense) e protegge la terra dalle più pericolose forze demoniache. Viene chiamato in Inghilterra per dare la caccia a tre giganti che minacciano il Paese ma proprio lì, il supereroe demoniaco scoprirà della volontà di un suo vecchio nemico di far resuscitare la strega Nimue, la Regina di Sangue, che vuole scatenare l’inferno sulla terra, coinvolgendo lo stesso Hellboy, pronto finalmente a scoprire le sue radici.

Questa è la breve sinossi di Hellboy, il reboot cinematografico della saga fumettistica creata da Mike Mignola e che viene riportata sullo schermo da un regista particolarmente dark e cioè Neil Marshall, che esplora in modo nuovo l’universo del personaggio. Hellboy ritorna al cinema, infatti, approfittando del mutato modo di concepire l’universo fumettistisco e il regista e gli sceneggiatori si sono sentiti in dovere di calcare la mano su aspetti che fanno della pellicola un film per adulti, con scene splatter e da grand guignol, infarcite da momenti ironici.

Il film è ispirato al racconto per fumetti “La caccia selvaggia” che serve anche a costruire un background del personaggio, scoprirne le radici demoniache. Hellboy è a tutti gli effetti un antieroe o un eroe imperfetto, continuamente in bilico tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e fortemente condizionato dal libero arbitrio: non siamo ciò che siamo ma ciò che vogliamo essere. 
Buone le performance degli attori (il protagonista è interpretato da David Harbour), e interessante Milla Jovovich nelle vesti della malvagia Nimue. Si sprecano gli effetti visivi, spesso un po’ troppo artefatti. Nel complesso, un film piacevole, lineare e senza troppe pretese, forse ridondante proprio nelle scene macabre.

VOTO: 6/10

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