Big Little Lies – La recensione della seconda stagione della serie HBO con Nicole Kidman e Meryl Streep

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Di Gabriele La Spina

Sono passati due anni da quando la prima stagione di Big Little Lies è andata in onda su HBO conquistando, quasi a sorpresa, un grossa fetta di pubblico, andato col tempo sempre più a ingigantirsi. E pensare che inizialmente il progetto, pilotato da Nicole Kidman e Reese Witherspoon, con le loro case di produzione, doveva essere un film; ma poi è divenuto una miniserie. Con David E. Kelly come showrunner, e Jean-Marc Vallée alla regia, la prima stagione ha saputo coniugare humor nero a un forte intimismo, lasciando che la componente mystery facesse da collante.

La prima stagione sembrava chiudere il cerchio, lasciando però qualche punto in sospeso, ma soprattutto un pubblico insoddisfatto di soli 7 episodi per ammirare il talento di grandi interpreti, come le già citate Kidman e Witherspoon, affiancate da Laura Dern, Zoe Kravitz e Shailene Woodley. Dopo diversi tira e molla, la seconda stagione è entrata in produzione, un sequel, una sorta di coda scritta dalla stessa autrice del romanzo, Liane Moriarty, insieme a Kelly. 
Le sceneggiatura di questa nuova stagione di Big Little Lies potrebbe essere scandagliata in tre distinti filoni contenenti i suoi episodi, con una tematica celata: il primo è quello del trauma, dove vediamo le protagoniste fare i conti con i propri incubi riguardanti l’omicidio di Perry; ad esempio Celeste si ritrova ancora a sognare quella fatidica notte con un ritorno del violento marito e lavora con la propria terapista per metabolizzare ancora gli abusi subiti; il secondo è quello del senso di colpa, che divora sempre di più le cinque donne, ma è Bonnie colei che porta il peso maggiore della bugia, sempre sull’orlo della confessione, vede il suo matrimonio andare in frantumi a causa del suo cambiamento. L’ultimo è quello del coraggio, che vede la rivalsa delle protagoniste nell’affrontare traumi e sensi di colpa. Con la sua nuova stagione Big Little Lies non vuole essere più una serie di matrice giallo, bensì un percorso di sviluppo psicologico dei personaggi e una sorta di approfondimento sul tema di violenza e bullismo: nella prima stagione appuravamo come il figlio di Celeste, fosse divenuto il bullo di Amabella, a causa degli abusi che la madre subiva da Perry; la storyline sembrava quasi dipingere l’essere umano maschile entità mostruosa che solo un gruppo di donne potevano fronteggiare, quindi con un forte messaggio femminista; qui viene invece alla luce l’imperfezione e la possibile negligenza della figura materna. Diventano personaggi chiave, villain inaspettati della stagione, le madri, ovvero Mary Louise, la madre di Perry che arriva a Monterey per scoprire di più sulla morte del figlio trasformandosi in una figura luciferina per le protagoniste, ma soprattutto per Celeste, che rischia di perdere i propri figli portata a un processo per l’affidamento, dalla suocera, che la ritiene una cattiva madre; ciò che ne verrà fuori sarà invece la verità su Perry, sulla radice della sua violenza. Come lei è essenziale la figura di Elizabeth, madre di Bonnie, che scruta il malessere della figlia, portando alla luce un passato sepolto, causa di quel lampo che quella fatidica notte portò Bonnie all’immediato gesto di spingere Perry.


I pretesti per uno sviluppo intelligente della stagione, che non fosse semplicemente un’eco della prima, richiamandone solo caratteristiche stilistiche, sono più che buoni, tuttavia a conti fatti i personaggi principali hanno ricevuto uno sviluppo abbastanza vago, probabilmente causato anche dalla volontà di voler rendere le cinque attrici delle co-lead, al contrario della prima dove le interpreti andavano tutte a supporto delle vicende legate ai personaggi di Celeste, Madeline e in minor misura Jane. Quella di Celeste diviene ancora una volta la storyline principale della serie, con i suoi scontri con Mary Louise e il successivo processo; Nicole Kidman offre una performance ben contenuta e bilanciata, tra i momenti di perdizione psicologica di Celeste e il suo conflitto interno, mancano però le sequenze forti della prima stagione, tanto che quello di Celeste risulta un personaggio passivo e a volte sottotono. Reese Witherspoon, che veste di nuovo i panni di Madeline, desiderosa di recuperare il rapporto perduto con il marito, non compiendo alcun passo narrativo, risulta un’ottima supporter e regala un’efficace sequenza quando parla durante una riunione di scuola a tutti i genitori che assistono al suo esaurimento nervoso. Mentre Laura Dern, nei panni della sempre inalberata e macchiettistica Renata, che si ritrova alle prese con il crack economico del marito, risulta sempre una grande performer, Shailene Woodley subisce la povertà di scrittura con la sua Jane, che nei primi frangenti sembra lavorare con la sua apertura verso un nuovo amore, per poi perdersi poco a poco. Diventa presenza predominante Zoe Kravitz, nel continuo mood depressivo di Bonnie, vera coscienza delle cinque di Monterey, probabilmente la sorpresa del cast di questa stagione. Impossibile non dedicare uno spazio all’entrata di Meryl Streep, caratterista indiscussa nei panni di Mary Louise, dentiera finta compresa, regala uno dei personaggi più sgradevoli del piccolo schermo visti negli ultimi anni, smuovendo gli equilibri delle protagoniste; l’attrice si concende diversi duetti con la Kidman, in una gara di intensità.
Nonostante quanto ci si aspettasse, Andrea Arnold, subentrata alla regia di Vallée, non porta un’evidente cambio di stile visivo della serie. Su questo andrebbe di fatto aperto un capitolo riguardo a dei retroscena della post-produzione della serie, i cui episodi avrebbero subito un evidente montaggio snaturando il lavoro della regista di Fish Tank e American Honey, allo scopo di rendere il risultato più vicino possibile a quanto visto nella prima stagione. Eppure un’impronta più dark, qualche gioco di lens-flare, che abbiamo amato nel cinema della regista, a volte è comunque emerso. In fin dei conti l’ultima parola sul cut finale degli episodi resta un diritto contrattuale dei produttori esecutivi, nonché dello showrunner, in questo caso David E. Kelly, il cui compito è quello di fornire coerenza non solo allo sviluppo narrativo ma anche al look, le vesti stesse, della serie, e con Big Little Lies non era affatto facile considerando la logica con la quale la prima stagione ha chiuso il suo sviluppo.
Qualcuno si è interrogato in un passato recente sulla necessità di una seconda stagione per Big Little Lies, e con la stagione ormai trasmessa, alla luce delle sue mancanze, la risposta è comunque sì. Vedere interpreti di questo calibro all’opera, risulta come assistere alle gesta dei più prestanti atleti per le olimpiadi della recitazione. Chiamatelo quindi guilty pleasure, ma nonostante la sua vacuità, questa ha saziato appetiti lasciando ancora affamati i suoi spettatori; loro artefici della sua produzione, che l’hanno premiata con altissimi ascolti. Il cliffhanger dell’ultimo episodio della stagione chiude in realtà il cerchio con la redenzione delle protagoniste, che adesso compiono un atto di vero coraggio, dopo aver affrontato sé stesse e la loro realtà, senza sconti. Un terzo capitolo sarebbe probabilmente troppo, ma come si fa a dire di no?

VOTO: 8/10
 


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