Ritratto della giovane in fiamme – La recensione del premiato film di Céline Sciamma

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Di Giuseppe Fadda
In un anno non precisato alla fine del diciottesimo secolo, una pittrice (Noémie Merlant) sta posando per le sue allieve quando si accorge della presenza di un quadro dietro di esse: visibilmente scossa, chiede loro chi lo abbia preso e appoggiato lì. Nessuna delle ragazze si assume la responsabilità del gesto, ma chiedono curiose se sia stata lei a dipingerlo. La pittrice conferma, e a quel punto le ragazze le domandano il titolo. “Ritratto della ragazza in fiamme” risponde e il suo sguardo tradisce l’emozione ben celata dal tono di voce.
Così inizia Portrait de la jeune fille en feu, l’ultima opera della regista Cèline Sciamma, premiata con la Queer Palm e il Prix du scénario al 72° Festival di Cannes. Le parole forse non possono esprimere a pieno la bellezza e la raffinatezza di questo film, la tenera sensibilità e la travolgente sensualità della storia d’amore su cui si sofferma, la complessità che si nasconde nei dialoghi così brevi eppure così intensi; quello che è certo è che la Sciamma ha realizzato un vero e proprio gioiello che si merita un posto di riguardo all’interno del cinema LGBTQ+ e non solo. 
Dopo questo significativo incipit, il film si dedica alla rievocazione delle settimane in cui la pittrice, Marianne, conobbe questa ragazza in fiamme, Héloïse (Adéle Haenel, ex compagna della regista e sua partner professionale già in Naissance des Pieuvres), la figlia di una Contessa (una brava Valeria Golino) che vuole darla in moglie a un gentiluomo milanese. Héloïse non è entusiasta alla prospettiva di sposare un uomo che non conosce ed è tormentata dalla probabilità di una vita infelice; inoltre, sta ancora maturando il lutto per il suicidio della sorella, originariamente destinata al matrimonio. Per questo, si è rifiutata di posare per il pittore che era precedentemente arrivato presso l’enorme casa familiare in Normandia. Esasperata dal comportamento della figlia, la Contessa chiede a Marianne di fingere di essere una dama di compagnia per Héloïse e di ritrarla poi a memoria una volta ritiratasi nelle sue stanze. Marianne accetta: da questo momento in poi, diventa difficile sintetizzare la trama, non tanto perché l’intreccio sia intricato, anzi, il ritmo è volutamente lento e l’azione non è mai frenetica. E’ difficile da raccontare proprio perché non si basa tanto sugli avvenimenti quanto sui silenzi, sulle pause, sul sottile e penetrante gioco di sguardi tra Marianne e Héloïse – paradossalmente, l’occhio dell’ignaro soggetto del ritratto è ancora più indagatore e attento di quello della pittrice. 

Stilisticamente, il film è di un’eleganza ineccepibile, ogni inquadratura è meravigliosamente geometrica e studiata fino al minimo dettaglio; ma non si tratta di trionfo dell’estetica a scapito del contenuto, la Sciamma è un’autrice troppo abile per essere autoreferenziale. La bellezza e il rigore di ogni inquadratura sono prettamente funzionali alla storia e al registro dell’opera: la lente della cinepresa cattura il selvaggio splendore e la ferocia del paesaggio, libero e ingovernabile come le tumultuose passioni che sconvolgono lo stato d’animo delle protagoniste; la precisione della mise-en-scéne, invece, sembra quasi imprigionare il paesaggio e le due eroine, temperare la loro natura sotto una precaria illusione di ordine. E allo stesso modo, la sceneggiatura (di penna della Sciamma) predilige il silenzio al dialogo: i quattro personaggi centrali (oltre a Marianne, Héloïse e la Contessa, c’è l’ingenua domestica Sophie, interpretata da una spontanea Luàna Barjami) raramente dicono quello che pensano – il loro è un linguaggio cifrato giocato proprio per sottrazione. Sono donne in una società patriarcale, in cui la loro autonomia è fortemente limitata: e quindi non parlano, agiscono, si capiscono a vicenda, non necessariamente solidarizzando (ma a volte sì, e quando succede la Sciamma ci restituisce tutta la purezza e il quieto eroismo di quel sentimento di vicinanza e supporto che deriva da una reciproca comprensione del dolore). La comunicazione e le relazioni tra donne sono proprio uno dei nuclei della storia: intenzionalmente, non c’è nessun personaggio maschile di rilievo. I dialoghi, come detto prima, non sono molto frequenti e sono decisamente stilizzati (come di consueto per la Sciamma), ma funzionano perfettamente nell’atmosfera sospesa, isolata, quasi extra-temporale del film; anche l’elemento mitico, nel riferimento potenzialmente didascalico a Orfeo ed Euridice, si integra all’interno della storia in maniera non solo organica ma anche emozionante. 


E’ doveroso spendere qualche parola sulle due attrici protagoniste, su cui dipende una buona parte del successo del film. La meravigliosa e toccante Merlant, i cui grandi occhi scuri sono di un’espressività indescrivibile, cattura perfettamente il sentimento di timorosa ma esaltante scoperta che si impadronisce di Marianne; e la Haenel è veramente “la ragazza in fiamme“, un impetuoso turbine di rabbia, passione e dolore, come un animale in gabbia alla disperata ricerca di una via d’uscita. Soprattutto, le due interpretazioni si completano e si sostengono a vicenda, in un duetto di recitazione di altissimo livello: nelle scene di passione, le attrici si abbandonano completamente, raggiungendo sullo schermo un livello di intimità tale da far sentire lo spettatore come un intruso, come se stesse guardando qualcosa di troppo privato per potersi intromettere. In quest’opera, amore e sensualità sono intrinsecamente legati all’arte: quando finalmente Héloïse acconsente a posare, non accetta di assumere un ruolo passivo e interviene attivamente nella realizzazione del suo ritratto. Marianne e Héloïse arrivano a conoscersi e ad amarsi veramente grazie all’atto della pittura, ed è proprio in questo connubio di amore e arte che le due protagoniste possono trovare la liberazione che cercano. 

Il film è privo di accompagnamento musicale salvo per due scene: la prima è quella attorno al falò, quando Marianne e Héloïse cominciano a rendersi conto della loro reciproca attrazione mentre un coro di donne di paese canta “Fugere non possum“; e la seconda è la sequenza finale, in cui la scelta dell’Estate di Vivaldi è particolarmente commovente. Questi due sono, coincidentalmente, i momenti chiave del film, ma in realtà Portrait de la jeune fille en feu non si basa su scene madri: ogni singolo momento è fondamentale, non c’è un secondo di troppo e non c’è n’è uno di meno. Questo capolavoro della Sciamma è forse il più impressionante connubio tra rigore stilistico e spontaneità di sentimento dai tempi di In the Mood for Love; è la commovente storia di due donne che tentano di rivendicare un briciolo di libertà in un mondo che non lo consente; è una profonda riflessione sulla relazione tra sguardo, arte e amore; ed è un film che parla di donne scritto e diretto da una donna: il che può sembrare una banalità, ma in realtà fa tutta la differenza del mondo.

Portrait de la jeune fille en feu sarà distribuito prossimamente da Lucky Red.    

Voto: 10/10