‘Un giorno all’improvviso’: Ciro D’Emilio ci racconta il suo film d’esordio, disponibile online solo per oggi

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Di Daniele Ambrosini

In questi giorni di quarantena sono numerose le iniziative di solidarietà digitale che coinvolgono anche il campo del cinema, della tv e dell’intrattenimento, alcuni autori, ad esempio, stanno mettendo a disposizione gratuitamente le proprie opere, o stanno collaborando con dei provider di contenuti per farlo, ed oggi vogliamo parlarvi di una di queste iniziative, che vedrà la No.Mad Entertainment rendere disponibile in streaming per ventiquattro ore a partire dalle 21 di oggi un film molto interessante, passato inosservato ai più, Un giorno all’improvviso. Si tratta di un’occasione unica per recuperare una piccola perla del nostro panorama cinematografico, e nell’attesa di poterlo vedere abbiamo chiesto al suo autore, l’esordiente Ciro D’Emilio, di raccontarcelo. 

Un giorno all’impovviso racconta il travagliato rapporto tra Miriam, una donna mentalmente instabile, e suo figlio adolescente Antonio, interpretati da Anna Foglietta e dalla rivelazione Giampiero De Concilio. Il padre, Carlo, li ha abbandonati poco dopo la sua nascita, ma Miriam non si è mai rassegnata all’idea di dover vivere la sua vita senza di lui, mentre Antonio ha dedicato la sua intera esistenza alla madre, la persona che ama più di qualunque altra al mondo e della quale si prende cura fin da quando era molto piccolo. Antonio sogna di diventare un calciatore, un sogno che sembra farsi sempre più concreto quando viene notato da un talent scout. Se riuscisse ad avere un posto in una squadra importante potrebbe permettersi di andarsene e di portare sua madre in un’altra città, lontana dal loro passato. Ma prima di addentrarci nelle tematiche del film, il regista ci ha raccontato il complesso percorso della sua opera prima. 
Un giorno all’improvviso nasce da un’idea condivisa con lo sceneggiatore Cosimo Calamini nel 2013, quando, per caso o per fortuna, le nostre strade si sono incrociate all’interno di un festival di cortometraggi. Cosimo aveva già realizzato delle opere cinematografiche e televisive, aveva visto dei miei corti e ha voluto coinvolgermi in un progetto condiviso. Fin da subito ci siamo trovati allineati su un’idea di film, un racconto di formazione di un ragazzo del sud. Un sud del mondo, nel nostro caso il sud Italia. Dico sud del mondo perché la nostra idea era di raccontare qualcosa che potesse essere universale e non localizzante“, racconta D’Emilio della nascita della sua opera dalla gestazione lunga e travagliata. 
Da quel momento è iniziata la fase di scrittura, alla quale è seguita una lunga trafila burocratica che ha portato il film ad ottenere due importanti finanziamenti pubblici. “Il film si è realmente sbloccato dopo quattro anni e mezzo, quando abbiamo ricevuto il fondo della regione Campania che si è aggiunto all’unica altra fonte di finanziamento che avevamo ottenuto fino a quel giorno, che era il fondo del ministero. Quindi abbiamo deciso di fare questo film con pochissimi soldi, circa 350.000 euro, prendendoci la scommessa di fare un film così piccolo con grandi ambizioni“. 350.000 euro sono una cifra piuttosto ridotta, ma il nostro panorama cinematografico raramente offre budget importanti a registi esordienti. La realizzazione del film è stata perciò una sfida, considerando le limitate risorse finanziarie, ma anche un programma di riprese piuttosto serrato che prevedeva di girare 115 scene in 24 giorni. L’ambizione, però, è sicuramente qualcosa che al progetto non è mancata. 
Ciro D’Emilio sul set di ‘Un giorno all’improvviso’

I tempi erano molto limitati perché ci eravamo prefissati fin da subito l’obiettivo di tentare la partecipazione al Festival di Venezia, consapevoli della difficoltà che questo avrebbe comportato. Quando abbiamo capito che avremmo potuto girare il film nella primavera del 2018, l’obiettivo di Venezia 75 è diventato prioritario. Ovviamente eravamo consapevoli che avremmo terminato le riprese a pochissime settimane dalla deadline di Venezia, che era il 15 giugno. Infatti, poi, la lavorazione è stata molto complessa e abbiamo avuto molti problemi, ma abbiamo sempre trovato, come team, come squadra, la forza necessaria per rialzarci, cercando le soluzioni migliori, circumnavigando i limiti che posti da una simile situazione economico-finanziaria.” ci racconta Ciro D’Emilio
Quando terminiamo le riprese, io Gianluca Scarpa e Bruno Falanga, che sono il mio montatore e il mio musicista, abbiamo lavorato in maniera instancabile al progetto, quasi ventiquattro ore su ventiquattro per tre settimane, riuscendo a partorire una copia lavoro, che mandammo al Festival di Venezia, e che alla fine è rimasta la copia che abbiamo raffinato in post-produzione. Poi a luglio è arrivata questa comunicazione incredibile attraverso una mail del direttore Alberto Barbera che ci avvisava di essere stati selezionati a Orizzonti, che, tra l’altro, era il trampolino di lancio migliore a cui potessimo ambire, e anche più difficile da ottenere.
Nel 2018 il Festival di Venezia selezionò tre film italiani in Orizzonti: Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, che fu anche il film d’apertura della sezione, La profezia dell’armadillo di Emanuele Scaringi e Un giorno all’improvviso. Il film ha ricevuto tre premi collaterali al Lido e ha poi proseguito il suo percorso all’interno del circuito festivaliero autunnale partecipando a più di 50 festival internazionali e raccogliendo consensi ovunque. Un giorno all’improvviso, alla fine della sua corsa, ha raccolto un totale di 25 riconoscimenti, un numero tale da farne il secondo film italiano più premiato della stagione cinematografica conclusasi nel 2019. Tra questi spiccano il premio Biraghi andato al giovane protagonista Giampiero De Concilio e il premio alla miglior attrice ad Anna Foglietta vinti ai Nastri d’Argento 2019, dove Ciro D’Emilio è stato candidato come miglior regista esordiente. La Foglietta, poi, ha ottenuto anche la prestigiosa candidatura al David di Donatello.

Anna Foglietta e Giampiero De Concilio in ‘Un giorno all’improvviso’

Un giorno all’improvviso è, come dicevamo, una storia di relazione tra una madre e un figlio, o meglio è una storia d’amore tra una madre e un figlio. Un amore sbilanciato e malsano, come ci racconta lo stesso regista, che definisce il film come “il racconto delle conseguenze di un amore illimitato, di un amore non dosato, di un amore malato. Perché in realtà il limite di questo rapporto sta nell’amore incondizionato di Antonio, che però è congenito, è una cosa che ha nelle vene e che per niente al mondo lui vorrebbe abbandonare, perché per lui è assolutamente vitale“.

Miriam è una donna che ha una voglia matta di farsi abbracciare, ma non riesce a farlo. Una donna che chiede amore ma non riesce a empatizzare col mondo, è una donna che appare come una bipolare ma in realtà è una narcisista patologica“. Parte dei suoi problemi derivano dall’impossibilità di far combaciare la realtà con l’immagine idealizzata che ha della sua vita, della sua famiglia, ma soprattutto dell’uomo che ama, Carlo, che secondo D’Emilio è “una figura che non esiste, perché Carlo in realtà è Carlo, mentre nella mente di Miriam è altro, non è neanche quello con cui a sedici anni ha concepito Antonio, è proprio un altro Carlo che non è mai esistito“. Un’ossessione quella descritta nel film che gli autori hanno sempre pensato dovesse essere un punto focale del personaggio e che pensano risalga al suo passato: “questa carenza nel background del nostro personaggio l’abbiamo ricollegata a una grande carenza della figura paterna in casa e una grande presenza della figura materna“, ha aggiunto il regista sull’argomento.

Nel momento in cui Carlo ha la lucidità di allontanarsi da questa donna malata, l’unica vittima che riesce a mietere, a fagocitare è proprio la creatura nata da quel concepimento e poi rifiutata da Carlo, Antonio; che crescendo apprende dei codici del tutto personali, codici difficili da sradicare dalla mente di un ragazzo. Tant’è che cresce con la convinzione che la maniera nella quale dimostrare amore alle altre persone è attraverso la cura, il prendersi cura. Questo grado di responsabilità che si innesta nella sua vita fin da piccolo lo trasporta in un territorio ostile, che non è certo quello della fanciullezza.

L’amore incondizionato di Antonio verso sua madre è il fulcro del film, è l’elemento caratterizzante del personaggio. Il suo è un amore totalizzante e impegnativo che, come detto, si manifesta attraverso l’atto di prendersi cura della madre, cosa che fa di buon grado e che lo mette in una condizione differente rispetto ai suoi coetanei. Quello di Antonio è anche un amore stancante e unico, che non lascia spazio a nessun altro. “Tutto lo spazio emotivo di Antonio è fagocitato da Miriam” ci dice Ciro, riassumendo perfettamente in pochissime parole la condizione nella quale il suo protagonista si trova nel corso di tutto il film.

Pur raccontando una realtà di periferia, Un giorno all’improvviso ha il pregio di non enfatizzare gli aspetti più propriamente drammatici del suo racconto, di non sprofondare mai nella tragedia, ma anzi, riesce a bilanciare in maniera convincente il dramma del racconto familiare al centro della narrazione e la leggerezza del racconto di formazione. Ciro D’Emilio riesce, potremmo dire, a portare nel suo film un po’ di quella solarità del sud che i film di stampo prettamente realista non riescono a cogliere, o anzi, ignorano del tutto. Così facendo dona al suo film un qualcosa che lo rende immediatamente riconoscibile dagli altri che in tempi recenti hanno raccontato il sud. E la scelta di questo tono particolare è stata fondamentale nella creazione della storia stessa, come ci racconta lui stesso.

La scelta del tono è stata fin da subito condivisa da me e da Cosimo fin dai primi giorni di scrittura. Volevamo che il film mostrasse la bellezza che appartiene all’età che Antonio ha anagraficamente. Miriam è già portatrice sana di dramma, perciò con gli altri personaggi volevamo creare una giostra di emozioni, anche e soprattutto, leggere, tale da farti sentire quasi il bisogno di prendere Antonio e dirgli “guarda quanto è bello il mondo che ti stai perdendo!”. Quella è stata un po’ la sfida, anche perché spesso e volentieri si tende a generalizzare quando si racconta – e secondo me spesso lo si racconta male – il sud del mondo, nel farlo alle volte si creare una visione iconoclasta, un po’ scatologica delle tematiche del sud. Perciò ci siamo divertiti anche a fare qualcosa che non viene fatto spesso nella mia terra. Solitamente o vengono fatte delle commedie volutamente sempliciotte che vanno a edulcorare e a rendere retorica un’arena che ha una storia importante di commedia alle spalle, fatta di grandi nomi e grandi cult, oppure si tende a fare qualcosa, che sia di genere o che sia d’autore, che sia sempre profondamente drammatico, nel senso che il dramma è onnipresente in ogni singola scena. Nel nostro caso, invece, volevamo il contrario: Antonio si prende la zavorra di Miriam, la vera portatrice di dramma nella storia, però attorno a lui ci sono i colori e le bellezze di una vita sociale, di un quotidiano che sembra costantemente ricordare ad Antonio che Dio gli ha dato tutto il necessario per vivere una vita felice. Dovrebbe solo spostare il suo punto di vista.”

Come detto prima, Un giorno all’improvviso è un film sul sud inteso in senso ampio, e da ciò si potrebbe facilmente dedurre che la voglia di ribaltare lo stantio immaginario comune del sud del suo autore potrebbe derivare da un forte attaccamento a questo luogo, tuttavia Ciro ha imparato col tempo ad apprezzare le sfumature, le contraddizioni e gli elementi che caratterizzano la sua provincia. “Ho sempre avuto un rapporto molto conflittuale con la mia terra“, ci ha raccontato. “Tant’è che a diciotto anni sono scappato a Roma per inseguire i miei sogni e continuare i miei studi, perché mi sentivo totalmente incompreso. Probabilmente ero io a non comprendere i codici, i dettami di quella terra, sia a livello sociale che antropologico – cosa che ho imparato a fare poi, stando a distanza e apprezzandone le piccole cose, ma dosandole, probabilmente anche con la serenità derivante dal sapere che ho costruito la mia vita altrove. Però era importante nel mio primo film, quasi come un’espiazione, far allineare il racconto universale di un sud del mondo, di una provincia, al mio sud, alla mia terra, alla Campania“.

L’opera prima solitamente è un’opera passionale, estremamente personale, perciò abbiamo esteso questa riflessione anche all’ambito formativo chiedendogli se ci fosse qualcosa del suo percorso di crescita e della sua vita familiare nella storia di Antonio e la risposta è stata netta: “Io ho avuto un rapporto diverso con i miei genitori. Sono cresciuto in una famiglia dove, al netto delle cose giuste e delle cose sbagliate, dei pregi e dei difetti di ognuno di noi, si è sempre cercato di mantenere un rapporto solido. I miei genitori accettando le scelte dei propri figli, a volte anche lasciandoci sbagliare, e lasciandoci liberi di scegliere, hanno ottenuto la loro vittoria. Non avrei nulla da rimproverargli riguardo alla mia educazione. Poi sono sempre stato una persona molto curiosa, quindi crescendo ho osservato tante altre vite, alcune più vicine, altre più lontane dalla mia, e ho raccolto dentro di me immagini che mi hanno ispirato nella costruzione visiva di Un giorno all’improvviso. Essendo il primo film, poi, è anche abbastanza normale scavare dentro sé stessi – come si dovrebbe fare sempre – e trovare risposte appartenenti alla gioventù. Quando mi riferivo ad espiazione nei confronti della mia terra e delle persone della mia terra mi riferivo un po’ anche a questo“.

Alla fine dei giochi, però, cos’è che il suo autore spera che gli spettatori portino con se una volta terminata la visione? Una nota di positività, a sentire le sue parole: “Io non ho mai preteso che la mia visione fosse necessariamente condivisa, ma ho sempre sperato che in quella scelta che Antonio fa nel finale il pubblico vedesse una liberazione“. E nel raccontarci questo ha anche aggiunto che il finale del film non va interpretato come la chiusura definitiva della storia di Antonio, ma come la chiusura naturale di una sezione della sua storia. “Sono contrario all’idea che il mio film abbia un finale aperto. La vita non si chiude, la vita continua. Che piaccia o meno, questo è un film sulla vita e un film sulla vita per me non può terminare. Io vedo un finale perché vedo la vita, perché vedo che Antonio sceglie la vita. Spero sempre che questa cosa venga colta“.

In conclusione abbiamo chiesto a Ciro, che in questi giorni è impegnato nella post produzione di una serie televisiva e nella preparazione del suo prossimo film, di consigliarci qualche titolo da recuperare nel corso di questa quarantena e lui ci ha raccomando tre delle sue visioni più recenti: A ciascuno il suo di Elio Petri, datato 1967, con protagonisti Gian Maria Volontè e Gabriele Ferzetti; Storia di un matrimonio di Noah Baumbach, del quale ci dice: “è un capolavoro, mi ha toccato veramente tanto“; e in fine I due papi di Fernando Meirelles, da lui definito “un film con degli azzardi molto importanti che probabilmente solo un autore come Meirelles può permettersi, ma che si lascia comunque seguire. I due attori protagonisti sono formidabili e i dialoghi sono incredibili“.

Ringraziando ancora Ciro D’Emilio per la disponibilità, rinnoviamo il nostro invito a recuperare Un giorno all’improvviso, che sarà disponibile online gratuitamente per ventiquattro ore sull’account vimeo della casa di distribuzione No.Mad Entertainment a partire dalle 21 di questa sera. Inoltre, per chi fosse interessato, alle 23:30 Ciro insieme al protagonista Giampiero De Concilio saranno live su Facebook per discutere del film e rispondere alle domande del pubblico.