Borat: Subsequent Moviefilm – La recensione del sorprendente sequel di Sacha Baron Cohen

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Di Daniele Ambrosini

Sono passati 14 anni da quando Borat ha fatto il suo debutto sul grande schermo, diventando in brevissimo tempo un vero e proprio cult e conquistando addirittura una candidatura all’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale e facendo conquistare a Sacha Baron Cohen un Golden Globe. Nel corso degli anni lo stesso comico aveva dichiarato che il personaggio sarebbe andato in pensione, solo per poi cambiare idea e regalarci uno dei sequel più divertenti, irriverenti e politicamente schierati degli ultimi anni. Dopotutto l’assurdità quasi cartoonesca del periodo storico in cui ci troviamo ben si prestava a una nuova avventura del reporter numero 4 di tutto il Kazakistan.

La premessa è semplice ed esilarante: Il presidente kazako, offeso di essere escluso dalla cricca di “amici” di Trump, composta da uomini di governo di estrema destra di tutto il mondo, come Putin e Bolsonaro, decide di inviare Borat in America per consegnare un dono al presidente americano, anzi, al più facilmente avvicinabile vicepresidente Mike Pence, che lo consegnerà poi a Trump. Questo dono è una scimmia, ma non una scimmia qualunque: è il ministro della cultura del Kazakistan. La figlia da tempo dimenticata di Borat, Tutar, decide di seguire il padre di nascosto durante il viaggio, che si rivela più lungo del previsto, e per sopravvivere si ritrova costretto a mangiare la scimmia. A Borat non resta altra scelta se non quella di offrire in dono sua figlia. La giovane che è cresciuta guardando cartoni animati dedicati alla donna più felice del mondo, Melania Trump, ne è entusiasta. 

Lo scopo di Sacha Baron Cohen e dei suoi personaggi è sempre lo stesso: esporre e ridicolizzare l’ipocrisia e l’intolleranza estremamente radicate nel tessuto sociale americano, e per estensione, nel mondo occidentale. E per farlo utilizza gli stessi stereotipi e le ideologie che vuole combattere come armi per creare ironia, come strumenti per raccontare una storia che metta in evidenza le contraddizioni di tali processi, di fatto ridicolizzandoli. Si tratta di un approccio controverso, perché richiede un certo grado di lettura e può creare un po’ di confusione, poiché per mettere in ridicolo una determinata ideologia è necessario portare all’eccesso elementi sui quali sarebbe, in qualunque altro ambito, più indicato portare una luce positiva. Pensiamo per esempio a Bruno, il protagonista del film omonimo dove Baron Cohen interpretava un personaggio omosessuale al limite del sopportabile, o allo stesso Borat, che incarna tutti gli elementi negativi della figura del “migrante clandestino non civilizzato”. Ma il punto è proprio questo. Dare ai bigotti una rappresentazione accurata delle loro fobie, così da metterli alle corde e costringerli a rivelarsi per quel che sono. 

Il Kazakistan di Borat è un insieme di stereotipi dei tanti non-meglio-specificati paesi dell’est europeo che in tutto il mondo soffrono di una terribile reputazione, e non ha alcuna volontà di essere un ritratto veritiero, anzi. Se non si riesce a fare un distinguo tra realtà e finzione, in qualche modo si sta dando ragione al film, che accusa chiunque, anche lo spettatore stesso, di essere vittima dei processi dell’intolleranza, ormai estremamente radicati nella società.

Il più grande pregio di Borat: Subsequent Moviefilm è quello di far sembrare tutto estremamente facile. Ci sono alcuni scambi di battute pronunciate con una leggerezza disarmante, che però sono per l’appunto sintomo di come tutti noi, e non solamente la società americana, siamo ormai assuefatti al linguaggio dell’odio, alla tolleranza dell’intolleranza, e ad una serie di processi estremamente problematici e potenzialmente pericolosi. Borat ci ricorda che ci siamo ormai abituati ad una normalità fino a qualche anno fa impensabile. E lo fa con una naturalezza disarmante.

Questo secondo capitolo di Borat è estremamente riuscito proprio perché dettato da un’urgenza narrativa, che è il veicolo della comicità all’interno del film, ma non è mai solamente quello, è sempre qualcosa di più. Perché Borat è un film fortemente tematico, un film che racconta con grande efficacia il presente, un presente dal quale ci auspica di poter uscire il prima possibile. Da qui la fretta con cui è stato girato, montato e distribuito. 

Borat: Subsequent Moviefilm è il secondo progetto consecutivo nel corso di un paio d’anni che ha visto Baron Cohen fare rumore per i suoi scherzi alle alte sfere della politica americana, dopo Who Is America?, una miniserie che ha molto in comune con questo film, ma che aveva fallito nel lasciare un segno, per un motivo semplicissimo: il suo eccessivo distacco con il pubblico. Quello che era il suo progetto più politico in assoluto non era stato in grado di creare empatia nei confronti dei personaggi di Baron Cohen, che non avendo un arco narrativo vero e proprio, erano poco più delle comparse. Subsequent Moviefilm ha le stesse aspirazioni politiche che aveva Who Is America?, ma comunica il suo messaggio in maniera più efficace, forse pure meglio di quanto non fosse riuscito a fare il primo Borat nel 2006. Il motivo? Una linea narrativa molto forte alla base che racconta di un rapporto umano universale e vede un personaggio estremamente tipizzato evolversi in qualcosa di più di una semplice barzelletta. E l’ausilio di una eccellente Maria Bakalova, vero centro emotivo del film.

Il primo Borat era divertente, e forse ancora più scorretto di quanto non sia questo sequel, che vista l’aria che tira nel 2020 probabilmente non avrebbe potuto sconvolgere più di tanto nessuno, ma l’elemento umano che emergeva alla fine del film non era poi così forte, né così fortemente connotato nella narrazione socio-culturale. Borat: Subsequent Moviefilm è forse un po’ più ingenuo del suo predecessore, ma è molto molto incisivo, perché ha a trainarlo una storia molto forte, che deve al fatto di essere strutturata secondo schemi ben noti al grande pubblico il suo valore aggiunto, in quanto può permettersi le sue stravaganze all’interno di un sistema di rimandi funzionale e riconoscibile, che permetterà agli spettatori una migliore lettura di tutti gli altri elementi che compongono un film che ha molto da dire e che ha l’accortezza di rendere tutto squisitamente evidente, senza nascondere niente in piani di lettura altri. L’unica cosa che ha realmente bisogno di essere codificata in questo film, così come in qualunque altra produzione del comico inglese, è il sistema di coordinate iniziali, che rendono più che evidenti le sue intenzioni. E il semplice fatto che esista ancora chi non è in grado di comprendere il suo messaggio e le modalità nelle quali è veicolato, rende il film in sé ancora più urgente. 

Borat: Subsequent Moviefilm è divertente, almeno abbastanza divertente da funzionare come commedia anche in futuro, sia che i temi trattati diventino obsoleti, sia che il suo augurio di rendere l’America un posto decente again non venga accolto e ad attenderci alle porte ci siano altri quattro anni di teatrini surreali e spaventosi proveniente dal più influente ufficio del mondo. L’importante è che Borat, e con lui il suo creatore Sacha Baron Cohen, questa volta ha il cuore nel posto giusto e la capacità di parlare di razzismo, antisemitismo, xenofobia, patriarcato e intolleranza in maniera efficace ad un pubblico vasto, creando scene che resteranno nella memoria collettiva ancora a lungo. Si pensi alla chiacchieratissima sequenza dedicata a Rudy Giuliani, o a quella in cui Borat riesce ad avvicinarsi a Mike Pence, o ancora a quella in cui Baron Cohen è riuscito a far cantare una canzone razzista alla folla radunata per una protesta dell’estrema destra.

VOTO: 8/10