Venezia 78: ‘Il collezionista di carte’ intriga e diverte

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Di Daniele Ambrosini 

Paul Schrader torna in concorso a Venezia a distanza di quattro anni dal precedente First Reformed, con un film dal tono diverso, un noir d’altri tempi con protagonista Oscar Isaac nel ruolo di un ex-carcerato che, contando le carte, riesce a scucire cifre considerevoli ma non troppo vistose ai casinò di tutto il paese, fino a quando non viene notato da una talent scout che gli propone di diventare un giocatore di poker professionista, proposta che considererà di accettare quando un ragazzo collegato ad una figura del suo passato farà riemergere vecchi fantasmi. 

The Card Counter è un film rigoroso, un noir classico, che riesce ad equilibrare l’analisi del suo protagonista all’apparenza inavvicinabile con una componente di puro intrattenimento, legata appunto al mondo del poker, che fa da cornica ad un dramma dalle venature dark, sebbene mai troppo marcate, su una pagina oscura di storia americana. Il vero cuore del film, in fondo, sta proprio nella sua anima politica, nel suo ricollegare il conflitto interno al personaggio con una questione più ampia, intrinsecamente umana. 

Ottima la performance di Oscar Isaac, che è in grado di rendere credibile un personaggio molto sfaccettato, che in apparenza sembra rifarsi al classico protagonista noir, ma che ha in realtà il difficile compito di conciliare anime differenti e di avvicinare ed allontanare il pubblico a più riprese, mostrando alle volte dolcezza, alle volte un volto malvagio, con grande nonchalance, rendendo estremamente credibile questo carismatico ma pericoloso giocatore di poker. Ottimi anche Tye Sheridan e Willem Dafoe, in un ruolo piccolo piccolo ma ben calibrato. A completare il cast c’è poi Tiffany Haddish, in un ruolo inusuale, che sicuramente è un passo in avanti nella sua carriera che da qui in avanti si prospetta piuttosto interessante. 

Forse, al contrario di quanto accaduto in First Reformed, Schrader non si lascia prendere la mano sul finale e decide di non calcare la mano né sulla metafora politica, né sull’introspezione psicologica, ma decide piuttosto di far convergere i due elementi grazie ad un colpo di scena che scombussola un po’ le carte e che potrebbe far storcere il naso a molti, ma che, a conti fatti, è in grado di mantenere alta l’asticella dell’intrattenimento. Meno suggestivo e un po’ più classico del suo lavoro precedente, ma pur sempre godibilissimo. 

VOTO: 7,5/10


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