Venezia 79: Blonde, la recensione del film con Ana De Armas nei panni di Marilyn Monroe

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Di Massimo Vozza

Il momento è arrivato: il tanto atteso adattamento cinematografico della romanzata biografia su Marilyn Monroe nata dalla penna di Joyce Carol Oates è stato presentato in concorso alla 79esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Non si tratta però di un classico biopic, anzi tutt’altro: Blonde è un’esperienza audiovisiva a tutto tondo, un film che osa senza filtri (attraverso la narrazione degli abusi, del sesso e del perenne bisogno di amore), una critica pesante allo Star System hollywoodiano e all’oggettificazione della donna. È un’opera contemporaneamente umana ed eterea, così come Norma Jeane/Marilyn Monroe.

E soprattutto Blonde è una riflessione sul cinema stesso, il luogo privilegiato dove si fondono realtà e finzione in un’esperienza estremamente sensoriale (non a caso la sala stessa è un personaggio del film). Il regista Andrew Domink, consapevole della potenza del mezzo, lo sfrutta al meglio e nella maniera più eclettica possibile. Degne di nota le minuziose ricostruzioni di immagini filmiche e fotografiche con Marilyn Monroe, soprattutto quando il contesto nel quale vengono riproposte è in realtà un momento intimo del personaggio, non passato quindi sotto i riflettori, grazie anche al perfetto lavoro eseguito con i costumi, le scenografie, il trucco e il parrucco. È la fotografia però (parallelamente al montaggio) ad esaltare ogni istante e a riflettere sul modo stesso di realizzare un’opera cinematografica, passando continuamente dal colore al bianco e nero e cambiando formato all’immagine in relazione a ciò che vuole principalmente inquadrare e, in particolare, a ciò che vuole trasmettere.

Anche le orecchie però vengono trascinate nell’esperienza grazie alle musiche da brividi composte dalla coppia Nick Cave e Warren Ellis e al sonoro, capace di far risaltare ogni suono e rumore, spesso caricandolo di significato (quello del telefono che squilla e dei flash delle macchine fotografiche tra i più significativi ed evocativi).

Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’incredibile recitazione mimetica di Ana de Armas, che trascina accanto e dentro al personaggio di Norma/Marilyn in ogni scena, portandone avanti la figura mitica quanto tragica, vittima quanto eroica, così dilaniata tra il personaggio che ha interpretato per l’intera vita e il suo vero essere che non riesce a trovare pace, alla costante ricerca di un padre attraverso le relazioni con gli uomini che costellano la sua vita (compresi il Joe DiMaggio di Bobby Cannavale e l’Arthur Miller di Adrien Brody), intenta a costruirsi inutilmente un nuovo nucleo familiare così da poter pure compensare alla difficile esistenza vissuta con la madre (Julianne Nicholson).
Blonde insomma è un regalo al cinema e a noi che amiamo la settima arte ma per la sua natura provocatoria rischia di respingere lo spettatore e privare del godimento di questa esperienza: non vi resta che provare a guardare.
Blonde arriva su Netflix a partire da mercoledì 28 settembre

VOTO: ★★★★½


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