Di Simone Fabriziani
Alla conclusione definitiva della terza stagione della seria antologica Fargo viene spontaneo tirate le somme di quello che è stato anche e soprattutto un terzo capitolo al di là dell non esaltati, premature aspettative; la creazione di Noah Hawley eccede nelle aspettative e ci regala forse la stagione più complessa, completa e pessimistica delle tre .
Ben oltre i semplicistici giochi narrativi che hanno mosso e che muovo i vari personaggi nell’episodio conclusivo, “Somebody to Love” definisce e dà un colore distinto al doppio filo che unisce gli estremi dell’etica dell’umanità rappresentata in Fargo: non esistono “grigi” nella realtà terrena, solo bianchi e neri, il bene o il male, nessuna via di uscita.
Curiosa in tal senso la decisione dello showrunner Hawley di risolvere le intricacies degli omicidi multipli legati alle fortune/sfortune dei gemelli Stussy su un freddo tavolo di una prigione federale del Minnesota in uno scambio di battute al fulmicotone tra il bene assoluto (la polizia federale nordamericana rappresentata dalla umanissima Gloria Burgle) e il male assoluto ed incomprensibile con i panni lupeschi di V.M Varga, dove forse la partita per il possesso della Terra rimane (e sempre rimarrà) in inevitabile pareggio.
Una disamina del cuore umano e di un mondo sempre più votato all’illogicità delle azioni e al rovesciamento della morale (ma c’è una morale?) già presente ampiamente nella filmografia dei due produttori esecutivi, i fratelli Coen, il vero e proprio carburante delle urgenze narrative create da Hawley per il piccolo schermo, ma con la sensibilità da grande narratore cinematografico. Un plauso finale va inoltre a tutto il cast, uniformemente in stato di grazia: Ewan McGregor, Carrie Coon, Mary Elizabeth Winstead, David Thewlis e Michael Sthulbarg.
Il destino televisivo di Fargo è ancora incerto, stando alle parole di Hawley; ci rivedremo (forse) tra un paio d’anni.
VOTO: 8/10