Di Simone Fabriziani
Il documentarista Michael Moore, vincitore di una Palma d’Oro al Festival di Cannes con Fahrenheit 9/11, pone la sua attenzione su un’altra data significativa per la storia degli Stati Uniti per le conseguenze che ha avuto: il 9 novembre 2016, giorno dell’elezione alla presidenza di Donald Trump. Nelle sale italiane come evento speciale esclusivamente nei giorni 22-23-24 ottobre grazie alla distribuzione di Lucky Red, arriva la nuova bomba ad orologeria del leggendario documentarista premio Oscar per Bowling a Columbine.
Fahrenheit 11/9 può essere necessariamente percorso e visionato partendo del titolo inverso dello stesso documentario di Moore; se il lungometraggio del 2003 era una potente e coraggiosa invettiva contro l’amministrazione Bush e la conseguente discesa in campo in Iraq, qui si analizza in dettaglio l’ascesa al potere politico dietro la poltrona più invidiata del globo del magnate staunitense Donald J. Trump, attuale Presidente degli Stati Uniti d’America. Più che semplificata invettiva contro lo stato d’essere del magnate ed imprenditore nei confronti della sua attuale politica conservatrice, Fahrenheit 11/9 segna il punto esatto di non ritorno del sistema democratico americano, da tradizione storica baluardo inattaccabile dei valori in nero su biano firmati dai padri fondatori della repubblica federale post- Rivoluzione americana della fine del XVIII secolo.
Ben oltre la mera ricostruzione cronologica dell’avvento e del consolidamento del conservatorismo in Usa, il nuovo esplosivo documentario di Michael Moore funziona alla perfezione ed indigna lo spettatore nei momenti più legati al lavoro di inchiesta d’assalto, vero cavallo di battaglia del primo Moore in quelli che sono ancora oggi i suoi primi lavori più rivoluzionari; degne di nota sono dunque le inchieste sull’inquinamento delle acque della citta di Flint e quelle legate alle conseguenze sulla popolazione più giovane della tragedia della sparatoria di Parkland. Due casi di cronaca recente che Moore incornicia come emblemi della caduta inesorabile del sistema democratico statunitense, senza tralasciare inaspettate stoccate pungenti all’alla politica di sinistra.
Da sempre estremista ed anti-capitalista prima di ogni cosa, l’idea di America di Michael Moore si dissolve in Fahrenheit 11/9 con la nostalgica immagine di un american dream distrutto, schiacciato dal peso di una Storia maiuscola che si ripete, scomodando addirittura le dittature nazifasciste del secolo scorso ed un manicheismo inedito nel cinema documentaristico di Moore, ma altrettanto sconfortante. Un cautionary tale che, nonostante la sua necessarietà, non avremmo voluto ricordare.
VOTO: 7,5/10