L’isola dei cani – La recensione del nuovo gioiello d’animazione di Wes Anderson

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Di Simone Fabriziani

Atari Kobayashi è una guardia di dodici anni che vive a Megasaki City, città giapponese di cui è sindaco Kobayashi. Quando, con un decreto esecutivo, tutti i cani domestici vengono esiliati in un’enorme isola adibita ai rifiuti, Atari si allontana da solo alla ricerca del suo cane Spot. Con l’aiuto di nuovi amici, inizierà un epico viaggio che deciderà il destino e il futuro dell’intera Prefettura. C’è da non crederci, eppure anche stavolta Wes Anderson si svicola elegantemente dal sovraccarico di auto-referenzialità estetica e sforna l’ennesimo gioiello per il grande schermo.

Continuando un percorso di amore per l’animazione in stop-motion iniziata con il notevole Fantastic Mr. Fox, Anderson racconta il presente caricandolo di messaggi politici e politicizzati che soltanto attraverso il linguaggio del cartoon sembra compiersi prepotentemente nella poetica dell’autore statunitense. Feroce invettiva contro le insidie del capitalismo e della proprietà privata il primo lungometraggio animato, L’isola dei cani si carica di colori orientali e sposta la sua lente di ingrandimento ironica e affilata in un favoleggiato Giappone del presente, vicino ad un sterminio di massa canino memore delle atrocità (quelle vere però) dei totalitarismi del Novecento. A frapporsi tra l’ostinatezza delle autorità della Prefettura e il destino dei cani l’amore tra un padrone dodicenne e i suo fedele compagno a quattro zampe, fiaccola di una ribellione che tenterà il tutto per tutto pur di perpetrare la barbarie disumana.

Non favola superficialmente animalista, ma un racconto di formazione umanista, un percorso narrativo che, pur non rinunciando agli estetismi di un maestro del gusto visivo e squisitamente quirky come Anderson, trova il suo cuore pulsante nella riappropriazione di una umanità perduta, ancora una volta simboleggiata da un atto di ribellione adolescenziale nei confronti del mondo degli adulti; e allora L’isola dei cani sembra sempre di più lontano dal primo tentativo di animazione  in stop-motion con volpi e tassi, ma spiritualmente sangue del sangue di titoli andersoniani come I Tenenbaum e, maggiormente, Moonrise Kingdom. Un umanesimo riflesso sul volto dei migliori amici a quattro zampe, ponte emotivo e politicizzato di cambiamento e salvezza finale.


Cosa è successo al (miglior amico dell’) uomo?


VOTO: 8/10


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